Si contino i danni e si numerino le violenze, anche in eccesso. Si elenchino disagi e interruzioni di pubblici servizi. Si mettano ancor più in fila i feriti, gli arrestati, i contusi e i fermati, quelli rimasti traumatizzati psicologicamente e chi ha avuto orrore di ciò che ha vissuto durante la giornata del 22 settembre 2025. Si faccia un computo generale di tutto questo, e lo si moltiplichi per dieci. Anzi no, per cento. Macché, facciamo mille! Qualsiasi sarà il risultato finale non raggiungerà mai l’orrore della sofferenza di una singola giornata vissuta in Palestina: a Gaza, in Cisgiordania, ed anche a Gerusalemme. Se quanto scritto non bastasse, allora ci si prepari ulteriormente a commentare e a condannare ogni espressione del pensiero, ogni azione esperita, ogni colore indossato che possano minimamente avvicinarsi ad una esaltazione della violenza tout court. Ciò nonostante, nulla riuscirà a eguagliare l’odio politico di chi per le vie di una città, di un paese, di una quotidianità qualsiasi si sente libero imbracciando un fucile e discriminando degli altri esseri umani, per poi nascondersi in tutto ciò dietro la morale assoluta di un qualunque libro sacro, sia esso cristiano, musulmano o ebreo.
Lo sciopero e le manifestazioni del 22 settembre
Lo sciopero in solidarietà al popolo palestinese, indetto da varie sigle sindacali e supportato da una miriade di sigle dell’associazionismo di vario tipo (quella più comunemente nota come società civile), nella giornata di ieri 22 settembre ha visto in tutta Italia decine di città fermarsi, migliaia di manifestanti scendere in strada, e altrettante migliaia di voci e di scritte gridare forte contro la fine dell’umanità e del diritto che il governo Netanyahu, e quelli dei suoi complici internazionali, stanno consumando nella striscia di Gaza.
Un grido di rabbia e di egoismo, che si sente impotente e che teme di diventare complice di un genocidio. Un grido di orrore e di disperazione che guarda alla sponda orientale del Mediterraneo come specchio riflesso di futuri massacri che non avranno più alcun tipo di contenzione politica o giuridica e sono già pronti a diffondersi nell’Occidente e nel Nord del mondo.
Centinaia di migliaia (un milione?) di scioperanti e manifestanti sono scesi in piazza in solidarietà con il popolo palestinese, ma non solo. Hanno voluto far sentire nel paese la stanchezza di una collettività stanca di menzogne e di vigliaccheria televisiva, di violenze e fake news veicolate da quei social vigliacchi che gridano all’orrore dell’indignazione reattiva di fronte a chi sputa veleno dicendo: “Definisci bambino!”.
Insomma, ieri il paese reale, l’Italia degli stipendi bassi e delle liste d’attesa, delle pensioni rubate e del lavoro precario, è stata palco e platea di una protesta sociale a lungo sopita. Un palco diverso rispetto a quello dei signori del Palazzo che amano parlare soprattutto a sé stessi e alla pancia del paese, rifiutando il contraddittorio, denigrando gli avversari quando non hanno argomenti e, mentre importanti paesi come UK, Australia, Canada e Portogallo riconoscono lo stato di Palestina, l’unica cosa in grado di dire è quella di ricordare le pastarelle domenicali della nonna, mentre migliaia di palestinesi – e di operatori umanitari – muoiono di fame.
La cerimonia oltreoceano e le riflessioni
Intanto, dall’altra parte dell’oceano, una cerimonia più d’avanspettacolo religioso che da lutto collettivo, incensava il martire della destra suprematista, caduto per mano della stessa destra. Un fatto che rimanda alla famosa frase di Brecht, che affermò: “Sventurata la terra che ha bisogno di eroi”.
Sventurato anche il tempo che li genera, specie se chi deve risolvere e gestire i problemi di una società – quell’italiana – oltre che non risolverli ne attribuisce la colpa agli altri, nella ricerca continua, lungo una politica coercitivamente biblica, di un capro espiatorio delle proprie incapacità e del proprio rancore politico e istituzionale. Nulla di cui meravigliarsi. C’è ben poco da sperare in chi, oggi supposta vittima dell’odio della sinistra, tempo fa affermava: “Sei nomade? Allora devi nomadare”.
Simbolismo della bandiera
Alla fine di tutto però restano i fatti. Le piazze d’Italia si sono colorate della voglia di futuro. Poche erano le bandiere di fazione, molte quelle palestinesi, fazione anch’essa, ma rappresentativa di un anelito di libertà, di una speranza futura e del rifiuto del presente.
Una bandiera ispirata ai colori pan-arabi, ma che – sia concessa una piccola forzatura interpretativa – riporta colori che rimandano ai movimenti sociali di ogni tempo e di ogni luogo: il rosso dei lavoratori, il verde degli ambientalisti, il bianco dei pacifisti ed il nero dei libertari.