La sua era una delle voci femminili tipiche del cinema: roca come quella di Monica Vitti, con una leggera inflessione dialettale come quella di Mariangela Melato, ma squillante quando ce n’era bisogno al pari della Mangano, della Loren o della Lollobrigida. Lei però era diversa da tutte. Era Claudia Cardinale e se n’è andata martedì 23 settembre all’età di 87 anni a Nemours, nella sua casa in Francia. Probabilmente ai più, quelli della generazione X in poi, il suo nome dirà poco, ma a quelli come il sottoscritto, ai boomer del tramonto, il nome, la bravura e fuor di dubbio la bellezza, di Claudia Cardinale hanno rappresentato un punto fermo nella conoscenza della dignità, della forza, dell’intelligenza e dell’eleganza di quell’essere donna che Claudia metteva in tutti i suoi personaggi.
Dai primi film al successo internazionale
Famosa in pieno boom economico con due film in particolare che si ponevano agli estremi l’uno dell’altro: I soliti ignoti di Monicelli (1958) e Il gattopardo di Visconti (1963), rappresentanti entrambi i due volti dell’Italia di sempre. Nel primo caso l’Italia dei poveri e degli arruffoni, di chi esercita l’arte di arrangiarsi riuscendo a trasformare in commedia il dramma della quotidianità della miseria.
Dall’altra parte c’è l’Italia del Gattopardo, dei signori della terra, pronti a cambiare tutto per non cambiare nulla. Feudatari antichi che guardano da dietro lo specchio le guerre e le rivoluzioni che si alternano sanguinosamente senza mai intaccare il dominio, il loro dominio, quello dei padroni del latifondo.
Le origini tunisine e il dolore privato
Claudia Cardinale era figlia di immigrati siciliani in Tunisia (una volta il senso del viaggio era inverso). Cresciuta a Tunisi, diventa grande e, prima ancora di capire la bellezza del mondo, ne subisce la bruttezza rimanendo vittima di uno stupro.
Una violenza che non le impedisce di decidere di tenere il “figlio della colpa” e di affermarsi come attrice, anche se ne rimarrà ferita di un dolore permanente, pronto a riverberarsi attraverso lo sguardo accusatorio di occhi da cui era difficile rifuggire, rapiti allo stesso tempo dalla voce spezzata, prodotta da un prezioso mélange di accento francese e siciliano, che abbraccia l’italiano un po’ in ritardo, pur riuscendo a essere e a interpretare sempre i vari volti della storia delle donne italiane.
Il racconto dell’emigrazione e della disillusione
Anche per questo probabilmente, fra i tanti film riuscitissimi, c’è quello interpretato accanto all’attore rappresentante l’italiano medio quale Alberto Sordi. Il film è Bello onesto emigrato Australia sposerebbe compaesana illibata, dove Claudia Cardinale impersona un’italiana tanto disperata quanto diffidente della vita e del mondo.
Una prostituta in cerca di una nuova vita in Australia che raggiunge un emigrante sconosciuto (Sordi) per rifarsi una vita ad ogni costo lontano dallo squallore della madre patria. Il film, del 1971, riesce a raccontare attraverso il sorriso amaro della commedia e l’interpretazione dei due attori i drammi dell’emigrazione, delle disillusioni, della sensazione di vivere in una gabbia fatta di miseria che per qualcuno non si aprirà mai nonostante ogni tentativo di fuga.
“Libera amore mio!” e il cinema politico
Non è mia intenzione fare una panoramica cinematografica dell’immenso lavoro di Claudia Cardinale, ma cercare di ricordarla attraverso le opere che ho meglio conosciuto e apprezzato. Fra queste, oltre quelle citate, ce n’è una minore, forse sconosciuta ai più, prodotta dal marito della Cardinale, il regista Pasquale Squittieri, e che rimase al palo per quasi due anni, bloccato dalle maglie della censura del tempo: Libera amore mio!. Un titolo quasi banale, scontato se non addirittura scialbo, ma che in realtà, ed è qui il motivo della censura, aveva un forte contenuto politico.
Claudia Cardinale interpreta Libera, la figlia di un anarchico – impersonato da Adolfo Celi – che attraversa tutto il regime fascista fra maturazione fisica e politica, amore per il compagno, un sarto pacifico interpretato dal grande Bruno Pomicino (Diario di un maestro, 1973), e vicinanza con il padre al confino assieme ad altri antifascisti, fino all’impegno militante nella resistenza.
Libera è una donna ribelle, che non accetta le panzane del regime, che festeggia il 1° maggio vestendosi di rosso rischiando di subire la violenza delle squadracce fasciste. Libera è una staffetta partigiana e arriva con la sua storia nell’Italia liberata dalla tirannia, scoprendo però che buona parte della classe dirigente fascista del passato era già stata assorbita nella macchina statale della nuova repubblica democratica.
Eredità e memoria di un’attrice unica
Solo Claudia Cardinale, con la sua bravura e la sua voce, la sua bellezza e la sua professionalità, poteva interpretare un tale personaggio. Ecco, questa era Claudia Cardinale, per me giovane ragazzo di provincia rapito dalle immagini del grande schermo e probabilmente per molti che l’hanno apprezzata come persona e come attrice.
Un’attrice che faceva sognare e pensare, che rimandava a una dignità dell’essere donna e che non accettava sconfinamenti e forzature, e che con la forza dei sentimenti e della ragione voleva essere come l’anarchica del film: libera, amore mio.