È da poco uscito un libro di racconti della scrittrice islandese Guðrún Eva Mínervudóttir: “Reykjavík, amore”, per le edizioni Iperborea. Un libro da leggere tutto d’un fiato e rileggere perdendosi fra la poetica delle righe, ma soprattutto da leggere – per chi può – prima, durante e dopo un viaggio in Islanda. Viaggio non proprio alla portata di tutti, ma da farsi prima o poi per ritrovare la primordialità della natura, della storia del mondo, di una terra in cui niente è facile, ma tutto è per tutti.
Cinque storie di donne e d’amore
Il libro di Eva (uso il nome più facile per il ristretto alfabeto italiano) è uno di quei pochi casi in cui la carta stampata ti restituisce serenità e fiducia nel mondo con un lavoro che si compone di cinque storie d’amore di altrettante donne alle prese con problemi sentimentali, relazioni difficili, esistenze complicate. Vite di donne prese dalle strette dell’amore in una Reykjavík che le accompagna e le sostiene in una quotidianità in cui tutto scorre e tutto si complica, specchio di una città che pagina dopo pagina prende forma. La lettura del libro meriterebbe – come anticipato – anche un sopralluogo nel paese europeo ai confini estremi di tutto.
Reykjavík, una città da vivere
Reykjavík, in islandese significa “baia fumante”, per la presenza delle numerose sorgenti geotermiche che apparvero ai primi colonizzatori norreni. Poco più di un borgo provinciale fino alla prima metà del ’900, oggi è una capitale europea bella da vedere e, come ricorda il libro, da vivere. Per estensione può essere descritta come una città composta da quattro grandi e asimmetrici anelli territoriali.
I quattro anelli della capitale
Il primo, quello centrale e storico, corrispondente con la zona del porto e la parte più turistica della città, offre il consueto spettacolo che piace al turismo usa e getta, condotto per mano lungo vie pulite con negozi costosissimi e oggettistica esotica. Segue poi il secondo anello, più residenziale, con un traffico lento, case a tinte vivaci, tipiche di tutti quei paesi del nord dove bisogna rubare più luce possibile a un sole che si fa attendere per mesi. C’è poi il terzo anello, quello più moderno, fatto di periferie, uffici, fabbriche e case popolari, con arterie stradali che quasi ricordano le nostre terre urbanizzate, seppur con traffico meno sincopato.
Si arriva così, alla fine, al quarto anello della città di Reykjavík, rappresentato dal resto dell’Islanda. Un paese grande come un terzo dell’Italia e zeppo di meraviglie naturali che non basterebbero decenni di vita per goderne appieno. Alcune parole islandesi, di non facile pronuncia, sono diventate patrimonio collettivo semplicemente per descrivere luoghi e fenomeni estremi: fiordo, geyser e sandur. Quest’ultimo è il deserto generato dall’azione dei ghiacciai, i quali ricoprono la quasi totalità del paese in associazione con i vulcani, tutti attivi e fonte di allerta continua.
Islanda estrema tra natura e mito
Gli islandesi riescono ad abbinare un approccio alla vita tipico delle popolazioni scandinave, miscelato però con un po’ di fatalismo. Un’isola estrema, dove nord e sud si incontrano come le sabbie delle coste frastagliate, ora dorate ora nere, come la spiaggia di Reynisfjara, tanto suggestiva quanto pericolosa.
Considerazioni a parte, il paese è bellissimo, con circa 400mila abitanti di cui 250mila nell’area metropolitana della capitale, mentre il resto vive sparso nelle lande affascinanti tra fiumi, cascate e pascoli.
La seconda città è Akureyri, all’estremo nord, con circa 20mila abitanti, attraversata da un fiordo in cui orche e balene talvolta fanno la loro apparizione. Questo è il “quarto anello” della capitale, dove si intrecciano le vite d’amore narrate nel libro.
Le protagoniste del libro
Guðríður e la sua complicata famiglia; Hildigunnur ammaliata da un giovane missionario texano; Jóhanna che rischia di perdersi in più vortici amorosi, a differenza di Sara che trova la pace fra le braccia di un’altra donna; infine Magga, con la vita e i sentimenti che sembrano rassegnarsi alla sorte di una malattia terminale.
Cinque storie, per altrettante sfaccettature del mondo, moltiplicate per dieci, cento, mille, in un tripudio di sentimenti e colori che solo la pallida luce del Nord estremo sembra ricordare. Non a caso Reykjavík mostra ad ogni angolo di strada, anche nella sua cattedrale, le variopinte bandiere arcobaleno che inneggiano ai sentimenti di tutte e tutti.
Reykjavík, amore: conclusioni
Appunto Reykjavík, amore. Scopriamo così che da semplice pianeta di riferimento letterario, la città e l’Islanda intera diventano metafora di molti mondi diversi, tanti quanti sono le immaginazioni e i significati che le attribuiamo.
La lettura di Rapsodia marziana richiama alla mente una citazione di Kurt Vonnegut: “Tutti su Marte vengono dalla Terra. Credevano che su Marte sarebbero stati meglio. Nessuno riesce a ricordare cosa ci fosse di così brutto sulla Terra”.
Abbiamo tutti un desiderio nostalgico di un altrove che ci faccia sentire migliori, un sogno in cui immaginarci diversi. Reykjavík, con la sua poesia e il libro di Guðrún Eva Mínervudóttir, ci ricorda quanto sia prezioso ciò che abbiamo sulla Terra.