L’origine del termine e il discorso di Churchill
“Siamo in presenza di un crimine senza nome”. Così, in una trasmissione radiofonica in onda il 24 agosto 1941, il primo ministro britannico Winston Churchill definì le orribili azioni di sterminio commesse dal regime nazista, che avanzava in Europa con decine di migliaia di esecuzioni a sangue freddo contro coloro che difendevano la loro terra natale.
“Sin dalle invasioni mongole dell'Europa nel XVI secolo non c'è mai stata una macellazione metodica e spietata su una scala simile o avvicinabile”, precisò Churchill quel giorno, in occasione della presentazione della Carta Atlantica, ossia l'accordo stipulato con il presidente statunitense Roosevelt.
Le enunciazioni di quella carta, riguardanti i principi delle relazioni internazionali, anticiparono la nascita, qualche anno dopo, delle Nazioni Unite.
Raphael Lemkin e la nascita del neologismo
A questo crimine deliberato e sistematico venne dato un nome soltanto nel 1944. Il neologismo fu coniato da Raphael Lemkin, un giurista polacco di origine ebraica, per poter descrivere non solo l'Olocausto ma tutti i fenomeni di persecuzione e distruzione di gruppi nazionali, razziali, religiosi e culturali.
Il primo caso moderno di persecuzione sistematica e di sterminio pianificato, a cui Lemkin si riferì introducendo questa nuova parola, fu il genocidio degli armeni e delle popolazioni cristiane perpetrato dall'Impero Ottomano (1915-1916).
Sebbene il termine si riferisse chiaramente ai crimini del nazismo e del totalitarismo moderno, lo stesso Lemkin ritenne che altri significativi eventi storici potessero essere considerati genocidio, inteso come un massacro su larga scala, dall'epoca antica a quella più recente del colonialismo europeo.
Dal processo di Norimberga al diritto internazionale
La parola genocidio, che significa letteralmente “uccidere una razza”, fu pronunciata per la prima volta nel 1945 durante il processo di Norimberga, ma risulta già presente nell'atto di accusa degli imputati, anche se si fa riferimento in generale ai crimini di guerra.
Tale crimine specifico venne recepito nel diritto internazionale soltanto nel Dopoguerra, al fine di promulgare leggi per prevenirlo e punirlo, e di cercare altresì strumenti idonei per garantire la tutela dei gruppi perseguitati.
Il genocidio è da allora considerato un grave crimine internazionale — al pari di terrorismo, crimini di guerra, crimini di aggressione e crimini contro l'umanità — ed è soggetto pertanto alla giurisdizione internazionale e sottoposto al giudizio di speciali tribunali sovranazionali.
La definizione dell’ONU e la Convenzione del 1948
Mentre l'omicidio è la negazione del diritto alla vita dei singoli esseri umani, il genocidio è la negazione del diritto all'esistenza di interi gruppi umani. Tale differenza fu precisata in una risoluzione dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1946, che anticipò la definizione ufficiale adottata dall’ONU il 9 dicembre 1948.
La “Convenzione per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio”, che impone agli Stati di prevenire e punire questo crimine, stabilisce che “per genocidio si intende ciascuno degli atti commessi con l'intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso”.
Tali atti comprendono l'uccisione di membri del gruppo; lesioni gravi all'integrità fisica o mentale di membri del gruppo; sottoporre deliberatamente il gruppo a condizioni di vita intese a provocare la sua distruzione fisica totale o parziale; misure miranti a impedire nascite all'interno del gruppo; trasferimento forzato di fanciulli da un gruppo all'altro.
Il XX secolo, “secolo dei genocidi”
Il XX secolo è stato definito il “secolo dei genocidi”. I fenomeni genocidari sono stati numerosi, caratterizzati da una intenzionalità totalitaria e ideologica. Alcuni studiosi descrivono il Novecento come “il periodo più sterminazionista ed eliminazionista di massa che l'umanità abbia mai conosciuto”.
L'Olocausto fu il primo grande crimine di massa per il quale la comunità internazionale iniziò un percorso giuridico per processare i responsabili. Tale crimine — iniziato nel 1933, dapprima con la segregazione, i pogrom, il concentramento e la deportazione — culminò con l'eliminazione fisica di sei milioni di ebrei nei campi di sterminio.
Si trattava di strutture di annientamento appositamente predisposte per attuare “la soluzione finale della questione ebraica”. Vi furono uccise in totale 11 milioni di persone, compresi altri gruppi etnici e religiosi, disabili, prigionieri di guerra e oppositori politici.
I genocidi riconosciuti dalla Corte Penale Internazionale
- Il genocidio delle popolazioni zingare Rom e Sinti, noto come Porrajmos (Seconda Guerra Mondiale).
- Il genocidio per fame della popolazione ucraina, noto come Holodomor, perpetrato dal regime sovietico (1932-1933).
- Il genocidio bosniaco con il massacro di Srebrenica durante le guerre nell'ex Jugoslavia (1991).
- Il genocidio in Ruanda (1994).
- Il genocidio in Cambogia sotto la dittatura comunista di Pol Pot (1975-1979).
Crimini di guerra, genocidio e intenzionalità
Nelle guerre si verificano spesso gravi infrazioni delle Convenzioni di Ginevra (1949), violazioni delle consuetudini e delle leggi di guerra, crimini contro l'umanità per atti disumani.
Si parla di genocidio quando c'è la specifica intenzione di distruggere ed eliminare un determinato gruppo protetto, al punto da ottenere una epurazione o pulizia etnica in maniera sistematica.
Alcuni esperti ritengono che la definizione giuridica di genocidio del 1948 sia incompleta. Altri sostengono che sia importante anche l'elemento quantitativo e propongono soglie numeriche oltre le quali si può parlare di genocidio, compiuto in un intervallo temporale prefissato.
La parola chiave resta l'intenzionalità di distruggere un gruppo in quanto tale, ovvero per la sua identità specifica.
Secondo i giuristi, è questo l'elemento più importante che deve essere indagato dalla Corte Penale Internazionale per stabilire se è in atto un genocidio, a prescindere dal numero delle vittime, distinguendolo quindi da altri crimini.
Senza questa precisa intenzione, un atto — per quanto grave — non può essere considerato genocidio, anche se comporta la morte di molte persone. In assenza di intenzionalità, l'atto viene considerato un crimine contro l'umanità.
La memoria e il fallimento della prevenzione
“Dai tempi dell'Olocausto, con grande ignominia, il mondo ha fallito più di una volta nel prevenire o porre fine a dei genocidi, per esempio in Cambogia, in Ruanda e nell'ex Jugoslavia.” — Kofi Annan
Parole che restano scolpite nella memoria collettiva e ricordano all’umanità quanto ancora lunga sia la strada della giustizia e della prevenzione di un crimine che, per sua natura, nasce dal silenzio e dall’indifferenza.