La figura di Galileo Galilei, considerato il padre della scienza moderna, è profondamente legata all'Università di Padova, una delle più antiche e prestigiose d'Europa, il cui motto è “Universas Universis Patavina Libertas”. Fondata nel 1222 allo scopo di diffondere la libertà di pensiero, ha da sempre contribuito al progresso della conoscenza, della scienza e della società grazie ai suoi docenti, ricercatori e studenti. Ancora oggi è considerata, secondo la classifica delle Top World University, tra i migliori 250 atenei del mondo, posizionandosi al 233° posto su scala globale e al 4° in Italia. Anche il celebre scienziato pisano, che giunse a Padova nel 1592 per ricoprire la prestigiosa cattedra di matematica dopo aver insegnato a Pisa dal 1589, contribuì notevolmente alla crescita di questo luogo del sapere con il suo importante contributo alla medicina quantitativa e all'introduzione del metodo scientifico.
Galileo a Padova: gli anni migliori della sua vita
“Di qui diede al mondo il presagio dell'era nascente e nostra...”, recita l'iscrizione nella lapide commemorativa nella casa che abitò al civico 17 della via che porta il suo nome, nel cui giardino si dedicava alle osservazioni astrali con il telescopio. Fu proprio qui che, nel 1610, Galileo scoprì i quattro “pianeti medicei” di Giove — ossia i suoi satelliti Io, Europa, Ganimede e Callisto — in orbita attorno al pianeta, chiaramente visibili dalla Terra, consolidando così la teoria eliocentrica di Copernico. “Non senza invidia sento il suo ritorno a Padova, dove consumai i 18 anni migliori di tutta la mia età”, scriveva Galileo in una lettera poco prima di morire.
Le tracce di Galileo a Palazzo del Bo
Molte tracce significative di Galileo si trovano a Palazzo del Bo, storica sede dell'Università dal 1493. Sono custodite nella Sala dei Quaranta, chiamata così perché dal 1942 le pareti sono dipinte con ritratti di quaranta allievi stranieri illustri che hanno frequentato l'Ateneo tra il XV e il XIX secolo, tra cui scienziati, medici, giuristi e umanisti. “Quanti fin dagli estremi confini della terra affluirono per attingere le dottrine del diritto civile e delle arti, tanti l'Università patavina restituì alle loro patrie, fatti latini per lingua, scienza, civiltà”, recita un'iscrizione sopra la porta d'accesso alla sala.
Oltre a un suo ritratto, al suo stemma e a una raffigurazione in un medaglione, si trovano in questa sala due cimeli suggestivi di Galileo: una cattedra di legno e una copia della sua quinta vertebra lombare.
La cattedra di Galileo e l’origine dell’espressione “salire in cattedra”
La cattedra è una struttura di legno povero, dall'aspetto antico e grezzo. È un manufatto semplice, realizzato con materiale di recupero, come fosse un palco per qualcosa di poco conto. Pur non essendo una cattedra tradizionale, è lo scopo per cui fu allestita in maniera improvvisata a farle onore e a darle importanza. Secondo la tradizione, fu costruita infatti per Galileo dai suoi studenti, che accorrevano sempre più numerosi a seguire le sue lezioni, affinché lo scienziato avesse la possibilità di salire sul pulpito da una scala e tutti potessero così vederlo e sentirlo meglio nella sala affollata.
Si ritiene che la popolare espressione “salire in cattedra” nasca proprio da questo episodio. Vista l'elevata affluenza, Galileo aveva ottenuto il privilegio di insegnare anche nell'attigua Aula Magna, la sala di rappresentanza dell'Università patavina, dove tre secoli dopo, il 27 ottobre 1921, il fisico Albert Einstein tenne una conferenza sulla relatività, poco prima di ricevere il Nobel.
Ma è da questa umile cattedra, posta nella Sala dei Quaranta, che il celebre scienziato toscano insegnava matematica e fisica e spiegava le sue innovative teorie copernicane, validate dai suoi calcoli e dalle osservazioni celesti grazie al perfezionamento del cannocchiale. Vi tenne le sue lezioni per 18 anni, dal 1592 al 1610, prima di trasferirsi a Firenze su invito del Granduca di Toscana, contribuendo a far diventare Padova un centro della rivoluzione scientifica.
La vertebra di Galileo: reliquia e mistero scientifico
La copia tridimensionale della quinta vertebra di Galileo è custodita in una teca. L'originale, donato all'Università nel 1823 dal medico vicentino Domenico Thiene, che ne entrò in possesso nel 1820 dopo vari passaggi di proprietà, è conservato in cassaforte. Si tratta di una reliquia prelevata dallo scheletro dello scienziato durante la riesumazione della sua salma dalla Basilica di Santa Croce di Firenze, dove era stata sepolta l'8 gennaio 1642, per inumarla nel Mausoleo a lui dedicato nella stessa Basilica.
I membri della commissione nominata dal Granduca De’ Medici, che effettuarono la traslazione il 12 marzo 1737 — composta da due medici, un umanista, un prelato e un notaio — non riuscirono a resistere dal prendere alcune parti anatomiche: il dito indice e il pollice della mano destra, il dito indice della mano sinistra, un dente e la quinta vertebra lombare.
“Misurate ciò che è misurabile e rendete misurabile ciò che non lo è”, è una delle celebri frasi che Galileo ci ha lasciato in eredità. Sulla sua vertebra sono state condotte misurazioni antropologiche che hanno mostrato come non siano presenti gravi processi patologici. Studi radiografici e TAC mostrano solo lievi irregolarità artrosiche e una minima osteofitosi dei profili vertebrali.
Recenti studi storico-medici hanno evidenziato che, sebbene non vi siano tracce dirette sulla vertebra, Galileo potrebbe essere morto a causa di una forma di artrite reattiva, probabilmente innescata da un’infezione da Chlamydia pneumoniae, poi complicata da una uveite che gli causò cecità bilaterale.