“Novembre, mese dei morti quanta tristezza tu porti. Ma i cimiteri grandi e piccini diventano giardini: e a sera, per tanti lumini lontani e vicini, sembrano cieli stellati di regni incantati”. Così il poeta Giovanni Battisti Marini (1902-1980) racconta in una filastrocca destinata ai bambini la commemorazione dei defunti che, celebrata il 2 novembre, non si riduce tuttavia ad un solo giorno. Il pellegrinaggio al camposanto continua lento per tutto il mese che, caratterizzato generalmente da un tempo grigio e uggioso, si adatta bene a mesti ricordi mentre ci si affaccenda attorno alle tombe. Si puliscono i marmi, si accendono i ceri votivi, si portano fiori freschi.
Il simbolismo dei crisantemi
Il sole ha scolorito anche i fiori artificiali e l’incuria rende la tomba poco amata. Si è soliti omaggiare i defunti con i crisantemi. Questi fiori, che in Italia accompagnano tradizionalmente la ricorrenza, sono invece simbolo di regalità e longevità in Giappone. Il loro nome significa “fiore d’oro” e rappresentano la gioia, la felicità, la vitalità. In altre parti del mondo sono un augurio di buona fortuna, di pronta guarigione e segno di amore sincero e costante. Il giallo, il colore più diffuso, indica un amore trascurato, un modo per chiedere perdono. In Italia, dove sono scelti per la loro fioritura autunnale, non sono quindi un fiore fuori luogo.
Il cimitero come giardino della memoria
Il cimitero è uno strano giardino che fiorisce improvvisamente, fuori stagione. Deserto e silenzioso per il resto dell’anno, un solo giorno si riempie di gente, passi e preghiere, tanto da rendersi necessario appostare i vigili alle porte monumentali per regolare i flussi e garantire la sicurezza. C’è chi va da solo, mesto o frettoloso, e chi ritrova parenti e conoscenti, scambiando convenevoli come si fosse per strada. Chi ci va per consuetudine, con il cuore guarito se il lutto è ormai lontano. Se la tomba è fresca, il dolore è ancora troppo acuto per non versare lacrime. Tra le tombe di famiglia e i mausolei ci sono sepolture curate ed eleganti e altre dimenticate. Le persone illustri riposano eternamente nel Famedio, ove si portano ancora corone di alloro. “I sentieri della gloria non portano che alla tomba”, ci ricorda il poeta inglese Thomas Gray, in un memento mori universale.
La poesia dei cimiteri da Gray a Foscolo
Il verso di Gray, tratto da Elegia scritta in un cimitero campestre (1751), ha ispirato la nascita della poesia cimiteriale romantica, influenzando Ugo Foscolo. “All’ombra dei cipressi e dentro l’urne confortate di pianto è forse il sonno della morte men duro?”, si interroga il poeta ne I Sepolcri. Il cimitero, nella sua desolante bellezza architettonica, ispira poesia per la nostalgia della vita perduta e per il dolore della separazione. Luogo di pace e riposo eterno, diventa anche uno spazio di riflessione sul significato della vita e della morte. Onorando la memoria di chi è scomparso, ci si riconnette al passato e alle proprie radici.
Pascoli e il giorno dei morti
“O Camposanto che sì crudi inverni hai per mia madre, gracile e sparuta, oggi ti vedo tutto sempiterni e crisantemi...”. Così Giovanni Pascoli, nella poesia Il giorno dei morti (1891), racconta il 2 novembre come un giorno oscuro. Il cimitero, avvolto dalla nebbia, è immerso in un silenzio rotto solo dal vento. “La pupilla umida e pia ricerca gli altri visi a uno a uno o forma un’altra lagrima per via”, scrive il poeta, descrivendo la commozione dei viventi sulle tombe dei propri defunti. Pascoli immagina i suoi cari riuniti sottoterra, mentre il vento sussurra il loro pianto lontano: una scena di struggente malinconia e tenera umanità.
La speranza oltre la morte
La morte strappa legami, talvolta crudelmente. La perdita è incolmabile, ma nei versi di Pascoli affiora una speranza: la desolazione del lutto può essere alleviata dal ricordo e dall’amore. Si continua a esistere se si vive nel cuore di chi resta. “Non vive ei forse sotterra... se può destarla con soavi cure nella mente dei suoi? Celeste è questa corrispondenza d’amorosi sensi”, scrive Foscolo. La morte non spezza il legame spirituale tra vivi e defunti: credere che essi continuino a vivere in noi consola e dà senso al dolore. È un’illusione, forse, ma necessaria all’anima.
Mary Shelley e il cuore immortale di Percy
Mary Shelley, autrice di Frankenstein, spinse oltre ogni confine il legame con il marito Percy Bysshe Shelley, morto annegato nel 1822. Durante la cremazione sulla spiaggia di Viareggio, il cuore del poeta non si bruciò: fu raccolto e conservato da Mary, avvolto in un drappo di seta, fino alla sua morte. Oggi riposa con lei nel cimitero di St. Pancras a Londra. Sulla tomba di Percy, al Cimitero Acattolico di Roma, si legge: “Cor Cordium” – Cuore dei cuori. Quando si ama così intensamente, è il cuore umano a diventare un eterno giardino.