Alcuni giorni fa il Ministro degli esteri, Antonio Tajani, parlando in merito alla scelta da parte di molti paesi di riconoscere lo stato di Palestina, ha affermato che: Israele è Israele, la Palestina è la Palestina, ma il riconoscimento di una cosa che non esiste non ha alcun effetto politico, non serve a convincere Netanyahu a fermare la guerra. Serve a nostro giudizio, come dice il Papa, la diplomazia
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Diplomazia o negazione?
Parole commentate da molti in vario modo, ma che indiscutibilmente mostrano come ci sia bisogno di un’azione politica per fermare la guerra condotta da Israele, da farsi – stando all’esempio papale – sul piano diplomatico, che è appunto politico. Il problema però sta nel fatto che lo stesso ministro, nel sottolineare la validità di un concetto, lo introduce negandolo al tempo stesso, comportandosi al pari del noto cancelliere austriaco Klemens von Metternich – nel 1847 – che affermò: L’Italia è una espressione geografica
. Come finì la questione, è cosa nota a tutti.
Il riconoscimento come gesto politico
È chiaro che non basta solamente riconoscere lo Stato di Palestina per risolvere la tragedia umana in atto a Gaza. Ma è un passo da fare, specie se fatto da paesi e governi importanti sullo scacchiere internazionale.
È chiaro altresì che per porre fine alla guerra, fatta con le armi, con la fame, con le malattie e con le menzogne ad ogni livello, la forza della diplomazia, il peso della politica, la ragione che pone rimedio ai torti – al genocidio in atto – sono gli unici strumenti per non abbassarsi allo stesso livello della legge del più forte.
Definire l’orrore: genocidio o massacro?
In questo non c’è solo il bisogno di riconoscere lo stato di Palestina, ma anche definire se ciò che si sta consumando attualmente sia un genocidio, o “semplicemente” un massacro, degli effetti collaterali della guerra, errori causati dagli “scudi umani” di Hamas (circa due milioni). Insomma, definire l’orrore in atto a carico di tutto un popolo, la cui sofferenza è storia di una terra cui tutte e tutti siamo legati, nella storia delle religioni monoteiste, della Mezzaluna fertile, dell’inizio delle civiltà umana. O della sua fine.
Le voci del dissenso: Grossman, Oz-Salzberger, Foa
In tutto questo le parole, come quelle del ministro, diventano strumento e il loro uso importante veicolo di scelte e prospettive – o tragedie – future. E deve far riflettere se importanti intellettuali ebrei, israeliani o meno, hanno alzato la voce definendo ciò che è in atto per quello che è: un genocidio.
Lo ha fatto lo storico israeliano David Grossman: Per anni ho rifiutato di utilizzare questa parola: genocidio. Ma adesso non posso trattenermi dall'usarla, dopo quello che ho letto sui giornali, dopo le immagini che ho visto e dopo aver parlato con persone che sono state lì
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Ed ancora un’altra storica israeliana come Fania Oz-Salzberger: Che sia genocidio o ‘soltanto’ crimini contro l’umanità, questo è il punto morale più basso che abbiamo mai toccato nella nostra storia. Dobbiamo lottare contro i responsabili, mentre piangiamo per le vittime e per noi stessi
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Ed anche la storica italiana Anna Foa, già autrice del recente Premio Strega “Il suicidio di Israele”. Anna Foa ha detto: Grossman parla di genocidio con un dolore infinito. Un dolore che è anche il mio. Per molto tempo mi sono detta che sul genocidio bisognava aspettare si pronunciasse il Tribunale internazionale, ora credo sia arrivato il momento di avere il coraggio di usare quella parola
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Segre e Mattarella: parole che pesano
Ed ancora molti altri nomi importanti possono essere citati, ma potrebbe bastare semplicemente ricordare come in Israele da mesi ormai fra i familiari delle vittime, i refusenik (i giovani che disertano la leva obbligatoria), gli ebrei ortodossi e l’opposizione araba e israeliana, monta la protesta contro quanto avviene a Gaza. Come sta accadendo in molti paesi del mondo.
Ma per restare a casa nostra non si può non citare la senatrice Liliana Segre e il Presidente Sergio Mattarella. La prima, donna e personaggio politico sofferto, reduce dai campi di sterminio nazisti, ha espresso il suo pensiero che travalica qualsiasi diatriba strumentale di chi si nasconde dietro la facile polemica per rifiutare di prendere una posizione.
Liliana Segre ha detto recentemente: quello di Grossman è un ammonimento giusto perché, quando si arriva ad affamare una popolazione – per quanto le responsabilità siano condivise con Hamas – il rischio di arrivare all’indicibile esiste. Ed è veramente straziante per me vedere Israele sprofondato in un simile abominio, con alcuni ministri fanatici che, con gli occhi fuori dalle orbite, gridano propositi di virulenta disumanità, oppure con gruppi di coloni che compiono vergognose azioni squadristiche ai danni di palestinesi inermi in Cisgiordania
. Qualsiasi polemica nei confronti di Liliana Segre merita solo l’eco del silenzio.
C’è poi il Presidente della Repubblica Italiana Sergio Mattarella che ha detto: Si è parlato di errori anche nell’avere sparato su ambulanze e ucciso medici e infermieri che recavano soccorso a feriti, nell’aver preso a bersaglio e ucciso bambini assetati in fila per avere acqua, per l’uccisione di tante persone affamate in fila per ottenere cibo, per la distruzione di ospedali uccidendo anche bambini ricoverati per denutrizione. È difficile, in una catena simile, vedere una involontaria ripetizione di errori e non ravvisarvi l'ostinazione a uccidere indiscriminatamente
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Cosa può (e dovrebbe) fare l’Italia
A Sergio Mattarella ha replicato però il Presidente dello Stato di Israele Isaac Herzog: Nutro grande rispetto per il Presidente della Repubblica Italiana, il mio amico Sergio Mattarella. Proprio per questo, sono rimasto rattristato da alcuni aspetti delle sue recenti dichiarazioni sulla situazione a Gaza, e ho sentito il bisogno di chiarire i fatti. Israele non ha alcuna 'intenzione di uccidere indiscriminatamente'. Vogliamo solo vivere in pace e sicurezza
. Più che rattristarsi per Mattarella, Herzog dovrebbe pensare all’ipoteca di sangue che il governo di Netanyahu sta mettendo sul futuro di milioni di israeliani e palestinesi.
Non bisogna però tergiversare ed evitare di perdersi nella polemica facile, e cercare di restare sul piano politico. Ecco, su questo piano, sarebbe stata gradita una presa di posizione del governo italiano a sostegno delle parole del Nostro Presidente della Repubblica. Ancor più considerando che è un governo che crede fermamente e ideologicamente nel presidenzialismo.
Un gesto politico come un altro, quasi scontato, al pari della scelta di aggiungere l’Italia ai tanti paesi che riconoscono lo Stato di Palestina, atto simbolico – si è detto – ma carico di forza. Politicamente poi l’Italia potrebbe, al pari della piccola, ma determinata Slovenia, interrompere il commercio di armi verso lo Stato di Israele. O chiedere con forza di far entrare i convogli umanitari invece di accodarsi ai lanci aerei, i quali hanno più una portata mediatica che reale nel combattere la fame da assedio di guerra in atto.
Politicamente l’Italia può fare molto in nome di una storica tradizione moderata e diplomatica, per porre fine all’inferno di Gaza. È un paese, l’Italia, il cui popolo, l’economia, la cultura e la storia, rappresentano risorse importanti per ogni tipo di azione politica, ma che sembrano, oggi, mancare.
Non solo su Gaza, ma sui migranti, sui dazi, sull’Ucraina, e su tante altre scelte fatte - e non – dall’Europa. Sempre che esista una politica italiana, smentendo le malelingue che vogliono il Belpaese suddito – e succube – deli Stati Uniti oggi, come della Germania ieri, dell’Austria l’altro ieri, di Napoleone o… I soliti maligni, potrebbero chiudere la questione ricordando l’abitudine tutta italiana di: “Franza o Spagna, purché se magna!”, sottolineando l’accondiscendenza e la subalternità storiche della classe politica nostrana, incapace di andare oltre l’orizzonte del proprio naso, dando ragione così al caro Metternich, in quanto è vero: l’Italia non esiste. La Palestina sì!