La solitudine dei numeri uno (e non solo)

Scritto il 25/07/2025
da Monica Vaccaretti


Mi sento molto solo, in campo e fuori, e senza motivazioni. Ed è una sensazione davvero molto pesante. Una solitudine profonda. Non mi sono mai sentito così vuoto prima d'ora. Mi manca la gioia in tutto quello che faccio. Non provo più gioia nemmeno quando vinco. Va al di là del tennis, è qualcosa che sento nella vita in generale. Così il tennista tedesco Alexander Zverev, numero tre nel ranking mondiale, nel corso della conferenza stampa dopo l'eliminazione al primo turno dal prestigioso torneo di Wimbledon, ha espresso tutto il suo malessere esistenziale, lanciando altresì un grido di allarme per la sua salute mentale.

La solitudine dei numeri uno (e non solo)

Mi sento molto solo, in campo e fuori, e senza motivazioni. Ed è una sensazione davvero molto pesante. Una solitudine profonda. Non mi sono mai sentito così vuoto prima d'ora. Mi manca la gioia in tutto quello che faccio. Non provo più gioia nemmeno quando vinco. Va al di là del tennis, è qualcosa che sento nella vita in generale. Così il tennista tedesco Alexander Zverev, numero tre nel ranking mondiale, nel corso della conferenza stampa dopo l'eliminazione al primo turno dal prestigioso torneo di Wimbledon, ha espresso tutto il suo malessere esistenziale, lanciando altresì un grido di allarme per la sua salute mentale.

Fare fatica mentalmente

Il professionista sportivo ha riconosciuto di soffrirne da qualche mese ed ha espresso inquietudine e preoccupazione per quello che sta provando e per la difficoltà di recuperare il benessere psicofisico.

Faccio fatica mentalmente, ha confessato non tanto per giustificare la sconfitta contro l'avversario quanto piuttosto per chiedere aiuto. Sto cercando soluzioni, sto cercando di trovare il modo di uscire da questo buco, ma ogni volta mi ritrovo lì dentro. È qualcosa che devo sistemare dentro di me. So che il cambiamento deve partire da dentro, non dal dritto o dal rovescio.

Lo stigma della solitudine

Le parole di Zverev hanno riportato alla ribalta la questione delicata della solitudine, considerata spesso ancora uno stigma. Definita dagli esperti come un'esperienza soggettiva negativa derivante da connessioni significative inadeguate, la solitudine è una condizione in continua crescita nel mondo.

Da recenti report che hanno indagato la diffusione del fenomeno ed hanno valutato i tassi globali emerge in modo preoccupante che ad esserne colpiti sono soprattutto giovani adulti. Si ritiene che ne soffrano soprattutto le giovani generazioni che, legate ai loro dispositivi multimediali, sono prive di coesione emotiva nelle relazioni esistenti e dimostrano una marcata incapacità di stabilire relazioni comunicative e di supporto.

Risulta inoltre che una parte sostanziale della popolazione mondiale sperimenta livelli problematici di solitudine, come evidenziato da una revisione sistematica e una meta analisi che ne hanno valutato la prevalenza globale.

Un italiano su otto si sente solo

I cambiamenti demografici suggeriscono infine che il numero di persone che soffrono di solitudine è destinato purtroppo ad aumentare. In Italia un'indagine condotta da Eurostat rivela che un italiano su otto si sente solo, perché non ha nessuno a cui chiedere aiuto, non ha un amico, né un familiare.

La solitudine è spesso un'epidemia nascosta, ciò la rende insidiosa. Per affrontare il fenomeno in maniera adeguata è stata creata pertanto una rete internazionale di ricerca sulla solitudine e l'isolamento sociale (Belfast. 2018).

Il sentimento della solitudine, che si sperimenta occasionalmente come esclusione sia per scelta propria che per vicende accidentali di vita, è diffusa, spesso necessaria, certamente ineluttabile in quanto connessa alla condizione umana.

A differenza della solitudine scelta come opportunità di riflessione e crescita personale che genera anche un senso di piacere, la solitudine che fa stare male sino a provocare un profondo dolore è una perdita della socievolezza e dell'intimo dialogo con gli altri.

L'uomo, per sua natura, è un essere socievole. Non tutti cercano la solitudine, come il filosofo Hermann Hesse che esaltandola la descrive fredda, meravigliosamente silenziosa e grande come lo spazio freddo e silente nel quale girano gli astri. La solitudine è indipendenza: l'avevo desiderata e me l'ero conquistata in tanti anni.

La maggior parte delle persone non la ama. Se non voluta, questa condizione umana, riconosciuta universalmente come la principale causa di depressione, può provocare un grande turbamento.

Questo senso di sentirsi soli può colpire chiunque, nei momenti di fragilità e persino in mezzo alla folla. Non risparmia nemmeno le persone di successo, quelle che sono definite dei numeri uno, come il tennista tedesco.

Come i numeri primi - ossia quei numeri interi positivi maggiori di uno che, secondo la teoria matematica, sono divisibili solo per uno e per se stessi - sono persone uniche, con caratteristiche peculiari.

Primeggiano ed eccellono, rendendo evidente la differenza dai numeri comuni. Come la solitudine statistica dei numeri primi che sono molto lontani l'uno dall'altro nella successione infinita delle cifre, così anche le persone considerate dei numeri uno per aver raggiunto livelli da primato nella loro arte e nel loro lavoro soffrono spesso per un forte senso di isolamento fisico e sociale e di distanza emotiva che può esprimersi in un disagio esistenziale.

La competizione estrema che spinge a superare i limiti, lo stile di vita sopra l'ordinario e i sacrifici che iniziano sin dall'infanzia e dall'adolescenza per raggiungere certi traguardi sono fattori che possono portare le persone ad un punto di rottura.

La relazione tra solitudine e mortalità

Le evidenze scientifiche hanno dimostrato in una revisione sistematica condotta nel 2010 una significativa associazione tra la solitudine e l'aumento della mortalità. Sentirsi soli può essere occasionalmente normale, ma se diventa cronica e duratura, laddove non voluta o non risolta, la solitudine può diventare una condizione grave che impatta negativamente sullo stato di salute delle persone sino ad essere un importante fattore di rischio per la morte, il suicidio, la depressione e l'alcolismo.

La solitudine può pertanto mettere seriamente a rischio non solo la salute fisica ma anche quella mentale. I ricercatori internazionali che indagano sulla solitudine riconoscono non solo che non è stato raggiunto un consenso su larga scala sulla sua valutazione, ma anche che persistono ampie lacune nella sua comprensione.

Non sono chiaramente note le cause nelle diverse popolazioni, né gli effetti sulla salute e sul benessere. Nonostante siano state stabilite associazioni con problemi di salute (depressione, ansia, malattie non trasmissibili, comportamenti scorretti, stress, sonno, disturbi cognitivi, mortalità prematura) non vi sono sufficienti prove causali sulle conseguenze, anche sociali, della solitudine.

Gli studi sinora condotti non hanno dimostrato nemmeno prove sull'efficacia degli interventi. Le evidenze scientifiche sono caratterizzate da studi clinici mal costruiti con campioni di piccole dimensioni, mancanza di quadri teorici, gruppi target indefiniti, misure eterogenee e brevi periodi di follow-up.

Prevenzione

Gli esperti di sanità pubblica ritengono comunque che le strategie di prevenzione contro la solitudine debbano essere considerate prioritarie come parte integrante dell'assistenza sanitaria e che si debbano sostenere con urgenza progetti per stabilire le cause della solitudine e lavorare sulle soluzioni.

Suggeriscono inoltre un approccio unificato alla solitudine, standardizzando gli interventi terapeutici. È necessario identificare gli elementi terapeutici chiave degli interventi, nonché la loro intensità, frequenza e durata ottimali. Ritengono che tali interventi debbano essere personalizzati e adattati alle specifiche cause profonde della solitudine.

Propongono altresì di adottare tali strategie, a livello mondiale, seguendo il modello elaborato dal Regno Unito. In Gran Bretagna, dove si stima ne soffrano ben 9 milioni, il fenomeno è particolarmente attenzionato, tanto che è stato addirittura nominato nel 2018 il primo ministro per la solitudine al mondo. Il ministero è incaricato di far fronte ai disagi fisici ed emotivi provocati dalla solitudine e risolvere i problemi sociali ad essa legati.

Il caso di Zverev ricorda quanto i numeri legati alla solitudine siano allarmanti. Essa è purtroppo, come ammonì il primo ministro inglese Theresa May in occasione dell'annuncio del ministero per la solitudine, la triste realtà della vita moderna.

Riferimenti

Fare fatica mentalmente

Il professionista sportivo ha riconosciuto di soffrirne da qualche mese ed ha espresso inquietudine e preoccupazione per quello che sta provando e per la difficoltà di recuperare il benessere psicofisico.

Faccio fatica mentalmente, ha confessato non tanto per giustificare la sconfitta contro l'avversario quanto piuttosto per chiedere aiuto. Sto cercando soluzioni, sto cercando di trovare il modo di uscire da questo buco, ma ogni volta mi ritrovo lì dentro. È qualcosa che devo sistemare dentro di me. So che il cambiamento deve partire da dentro, non dal dritto o dal rovescio.

Lo stigma della solitudine

Le parole di Zverev hanno riportato alla ribalta la questione delicata della solitudine, considerata spesso ancora uno stigma. Definita dagli esperti come un'esperienza soggettiva negativa derivante da connessioni significative inadeguate, la solitudine è una condizione in continua crescita nel mondo.

Da recenti report che hanno indagato la diffusione del fenomeno ed hanno valutato i tassi globali emerge in modo preoccupante che ad esserne colpiti sono soprattutto giovani adulti. Si ritiene che ne soffrano soprattutto le giovani generazioni che, legate ai loro dispositivi multimediali, sono prive di coesione emotiva nelle relazioni esistenti e dimostrano una marcata incapacità di stabilire relazioni comunicative e di supporto.

Risulta inoltre che una parte sostanziale della popolazione mondiale sperimenta livelli problematici di solitudine, come evidenziato da una revisione sistematica e una meta analisi che ne hanno valutato la prevalenza globale.

Un italiano su otto si sente solo

I cambiamenti demografici suggeriscono infine che il numero di persone che soffrono di solitudine è destinato purtroppo ad aumentare. In Italia un'indagine condotta da Eurostat rivela che un italiano su otto si sente solo, perché non ha nessuno a cui chiedere aiuto, non ha un amico, né un familiare.

La solitudine è spesso un'epidemia nascosta, ciò la rende insidiosa. Per affrontare il fenomeno in maniera adeguata è stata creata pertanto una rete internazionale di ricerca sulla solitudine e l'isolamento sociale (Belfast. 2018).

Il sentimento della solitudine, che si sperimenta occasionalmente come esclusione sia per scelta propria che per vicende accidentali di vita, è diffusa, spesso necessaria, certamente ineluttabile in quanto connessa alla condizione umana.

A differenza della solitudine scelta come opportunità di riflessione e crescita personale che genera anche un senso di piacere, la solitudine che fa stare male sino a provocare un profondo dolore è una perdita della socievolezza e dell'intimo dialogo con gli altri.

L'uomo, per sua natura, è un essere socievole. Non tutti cercano la solitudine, come il filosofo Hermann Hesse che esaltandola la descrive fredda, meravigliosamente silenziosa e grande come lo spazio freddo e silente nel quale girano gli astri. La solitudine è indipendenza: l'avevo desiderata e me l'ero conquistata in tanti anni.

La maggior parte delle persone non la ama. Se non voluta, questa condizione umana, riconosciuta universalmente come la principale causa di depressione, può provocare un grande turbamento.

Questo senso di sentirsi soli può colpire chiunque, nei momenti di fragilità e persino in mezzo alla folla. Non risparmia nemmeno le persone di successo, quelle che sono definite dei numeri uno, come il tennista tedesco.

Come i numeri primi - ossia quei numeri interi positivi maggiori di uno che, secondo la teoria matematica, sono divisibili solo per uno e per se stessi - sono persone uniche, con caratteristiche peculiari.

Primeggiano ed eccellono, rendendo evidente la differenza dai numeri comuni. Come la solitudine statistica dei numeri primi che sono molto lontani l'uno dall'altro nella successione infinita delle cifre, così anche le persone considerate dei numeri uno per aver raggiunto livelli da primato nella loro arte e nel loro lavoro soffrono spesso per un forte senso di isolamento fisico e sociale e di distanza emotiva che può esprimersi in un disagio esistenziale.

La competizione estrema che spinge a superare i limiti, lo stile di vita sopra l'ordinario e i sacrifici che iniziano sin dall'infanzia e dall'adolescenza per raggiungere certi traguardi sono fattori che possono portare le persone ad un punto di rottura.

La relazione tra solitudine e mortalità

Le evidenze scientifiche hanno dimostrato in una revisione sistematica condotta nel 2010 una significativa associazione tra la solitudine e l'aumento della mortalità. Sentirsi soli può essere occasionalmente normale, ma se diventa cronica e duratura, laddove non voluta o non risolta, la solitudine può diventare una condizione grave che impatta negativamente sullo stato di salute delle persone sino ad essere un importante fattore di rischio per la morte, il suicidio, la depressione e l'alcolismo.

La solitudine può pertanto mettere seriamente a rischio non solo la salute fisica ma anche quella mentale. I ricercatori internazionali che indagano sulla solitudine riconoscono non solo che non è stato raggiunto un consenso su larga scala sulla sua valutazione, ma anche che persistono ampie lacune nella sua comprensione.

Non sono chiaramente note le cause nelle diverse popolazioni, né gli effetti sulla salute e sul benessere. Nonostante siano state stabilite associazioni con problemi di salute (depressione, ansia, malattie non trasmissibili, comportamenti scorretti, stress, sonno, disturbi cognitivi, mortalità prematura) non vi sono sufficienti prove causali sulle conseguenze, anche sociali, della solitudine.

Gli studi sinora condotti non hanno dimostrato nemmeno prove sull'efficacia degli interventi. Le evidenze scientifiche sono caratterizzate da studi clinici mal costruiti con campioni di piccole dimensioni, mancanza di quadri teorici, gruppi target indefiniti, misure eterogenee e brevi periodi di follow-up.

Prevenzione

Gli esperti di sanità pubblica ritengono comunque che le strategie di prevenzione contro la solitudine debbano essere considerate prioritarie come parte integrante dell'assistenza sanitaria e che si debbano sostenere con urgenza progetti per stabilire le cause della solitudine e lavorare sulle soluzioni.

Suggeriscono inoltre un approccio unificato alla solitudine, standardizzando gli interventi terapeutici. È necessario identificare gli elementi terapeutici chiave degli interventi, nonché la loro intensità, frequenza e durata ottimali. Ritengono che tali interventi debbano essere personalizzati e adattati alle specifiche cause profonde della solitudine.

Propongono altresì di adottare tali strategie, a livello mondiale, seguendo il modello elaborato dal Regno Unito. In Gran Bretagna, dove si stima ne soffrano ben 9 milioni, il fenomeno è particolarmente attenzionato, tanto che è stato addirittura nominato nel 2018 il primo ministro per la solitudine al mondo. Il ministero è incaricato di far fronte ai disagi fisici ed emotivi provocati dalla solitudine e risolvere i problemi sociali ad essa legati.

Il caso di Zverev ricorda quanto i numeri legati alla solitudine siano allarmanti. Essa è purtroppo, come ammonì il primo ministro inglese Theresa May in occasione dell'annuncio del ministero per la solitudine, la triste realtà della vita moderna.

Riferimenti