Il caso “Mia moglie” su Facebook: patriarcato, oggettivizzazione del corpo femminile e discriminazioni di genere

Scritto il 25/08/2025
da Giordano Cotichelli


“Ho visto sul gruppo Facebook le foto del mio corpo nudo e sotto dei commenti agghiaccianti. A diffondere quelle immagini è stato mio marito: ho provato ribrezzo, sconforto, paura. Lui mi accusa di voler sfasciare il nostro matrimonio per una scemenza. Non ho il suo stipendio, le mie possibilità economiche non sono tali da poter andare via di casa e lasciarlo. Chiederò ad un avvocato come agire”. Questa è una delle tante testimonianze apparse sui media (social e quotidiani) in relazione alla vicenda del gruppo FB “Mia moglie”, scoperto dalla polizia postale e chiuso giorni fa. Quelle riportate sono parole che riescono bene a sintetizzare la povertà e al tempo stesso la tragedia di questa società umana in tema di rispetto dei diritti delle donne.

Il corpo femminile

Sembra che gli iscritti al gruppo FB in questione fossero circa 32.000 uomini. Non è dato sapere se nei fatti fossero tutti sposati o meno. Di certo la stessa intestazione della chat rimanda direttamente alla visione di possesso che certa mascolinità italica ha della donna come un qualcosa che gli appartiene e che quindi, come una moto, un’auto, o altro, va mostrato per vantarsene pubblicamente, prescindendo dall’oggetto … pardon, dalla donna stessa.

Nulla di nuovo, ma non per questo meno grave. Il numero degli aderenti al gruppo FB sicuramente è la punta di un iceberg ben più grande dove il patriarcato si mostra in ogni suo nefando aspetto, fino ad arrivare alle manifestazioni più estreme fatte di sopraffazioni, intimidazioni, insulti, violenze di ogni tipo che troppo spesso arrivano al femminicidio. In tal senso, alla data del 6 agosto, i casi totali di femminicidi in Italia conteggiavano 69 vittime di cui l’ultima in Puglia. Il suo nome era Fatimi Hayat.

Questo, almeno stando ai dati del sito nazionale “Non una di meno”, che probabilmente subirà degli aggiornamenti visto che, proprio nelle ultime ore ancora una donna si è unita all’elenco delle vittime: Tina Sgarbini (47 anni), ammazzata in provincia di Salerno. Insomma, che sia oltraggiato, offeso, deriso o ammazzato, al centro della cronaca c’è sempre il corpo della donna non solo inteso come oggetto, ma come prodotto di una visione della bellezza (fare l’amante), della famiglia (fare figli), della società (fare la cuoca, l’infermiera, etc.).

Lungo la drammaticità di questa prospettiva deve dunque leggersi la vicenda dei 32.000 maschietti del gruppo FB. Non una semplice questione voyeuristica (che sarebbe già grave di sé), e men che meno una goliardata da liquidare benevolmente. Piuttosto il gruppo “Mia moglie” è l’espressione dell’oggettivizzazione della donna come espressione schietta – e tossica – della visione maschile dominante. Ed anche in tal senso la cronaca non manca di fornire ulteriori esempi.

Guardare per violare

In questa fine estate è comparso in rete il video di una ragazza che ha denunciato le molestie fatte nei suoi confronti mentre si sottoponeva a degli esami diagnostici. La ragazza, ventitreenne, mentre si stava preparando per sottoporsi ad una Tac cranio, ha chiesto se dovesse togliersi anche il reggiseno.

Un tecnico, denuncia la giovane, ha esclamato felicemente davanti ai colleghi: “Se vuoi togliere anche il reggiseno fai felici tutti”. All’italiota medio intriso di testosterone basta poco per mostrare il suo – basso – livello.

Se si cercano in merito fra le migliaia di battute scritte nel gruppo FB in questione, ci si perde, e non bastano gli antiemetici: “Bel fisico da puledra la signora, si può vedere altro?” – “Si vergogna? Peccato, falle delle foto di nascosto”, e molte altre ancora in un quadro generale dove ritorna la testimonianza della moglie riportata all’inizio la quale evidenzia apertamente come l’oggettivizzazione del corpo femminile passa per un controllo fisico, legittimato a livello culturale e mantenuto tale dalla sottomissione economica in cui la stragrande maggioranza delle donne è tenuta.

Un dato che deve essere letto in termini di disoccupazione femminile, percentualmente doppia rispetto a quella maschile. O in relazione ai salari, in questo caso sempre ridotti di almeno il 20-30% rispetto alle stesse mansioni sostenute dagli ometti. E torna, come sempre, quel glass ceiling – soffitto di vetro – di cui si parla in queste occasioni.

Nel mondo liberista cullato dal concetto-bufala della meritocrazia, le professioniste sono spesso apostrofate con il semplice termine di signora o signorina, lasciando indietro il termine di dottoressa, professoressa, o altro, anche nella versione maschile tanto cara alla madre cristiana e presidente del consiglio in carica.

Gli esempi possono essere tantissimi, ma basta rifarsi all’idea portante di un mondo nazional-popolare sempre presente in questo paese e ben veicolato anche dai suoi volti pubblici più noti. Come non dimenticare il Pippo nazionale, scomparso di recente, che una trentina di anni fa polemizzava in diretta con la Professoressa Margherita Hack, chiamandola semplicemente “signora”.

Chi dice donna…

Il pregiudizio di genere è una realtà, come l’esistenza del patriarcato, entrambi espressioni di una società che crea differenze, stratificazioni, disuguaglianze. Ogni tanto ci dicono che non si può dare tutto a tutti. Meglio dare molto a pochi ed un po’ (poco, pochissimo) a tanti.

Ma per fare questo si devono legittimare meccanismi di esclusione, di sfruttamento, e una divisione dell’umanità in categorie funzionale a tutto ciò. Categorie composte dai diversi di ogni tempo e di ogni luogo: per genere, cultura, economia, religione, colore della pelle o orientamento sessuale, istruzione o competenza, bellezza o fedeltà, onore o …

Riverberano le parole che i bravi mariti di FB dovrebbero aver pronunciato sull’altare: "Prometto di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia". Un giuramento che però per l’uomo vale un po’ meno (l’uomo è cacciatore), mentre per la donna vale in maniera totale in quanto lei … è Mia.

Viene da chiedersi se qualche buon preside o qualche ministro o qualche parlamentare, alcuni provvidi parroci o i tanti giornalisti dell’opinione pubblica, saranno pronti ad alzare la voce contro i 32.000 signori del gruppo FB, magari chiedendo a qualcuno di dimettersi da eventuali incarichi pubblici ricoperti, come è capitato a qualche improvvida insegnante avvistata su Only Fans.

Del resto, sarebbe alquanto complicato riuscire ad agire contro 32.000 maschi bianchi, cis, etero e italianissimi. Più facile, come sempre, lavarsi la coscienza dando la colpa alla donna; alle donne. I roghi medioevali non sono mai stati spenti, ed oggi non mancano certo gli inquisitori sempre in cerca di facili consensi (voti) da raccattare nella profonda provincia italiana, fortemente impegnata in una perenne caccia alle streghe.