The Voice of Hind Rajab: un film che grida giustizia

Written on 25 settembre 2025
Danila Palladini


Ventitré minuti di applausi, alla 82ma edizione della Mostra del Cinema di Venezia, per The Voice of Hind Rajab. Un applauso di dolore e rabbia condivisa. La pellicola ha conquistato il Gran Premio della Giuria, ma il suo vero premio è stato trasformare una sala di festival in una stanza della memoria per tutti i bambini di Gaza che non hanno più voce.

Un film che nasce da una voce

Non ci sono immagini spettacolari e neanche effetti speciali. Solo la voce reale di una bambina di sei anni, Hind Rajab, intrappolata in un’auto a Gaza sotto il fuoco dei carri armati. Intorno a lei, solo fuoco e acciaio. La sua telefonata di settanta minuti alla Mezzaluna Rossa è stata lasciata intatta, senza filtri né pulizie digitali. Respiri, singhiozzi, vuoti di linea: è un suono che lacera l’anima.

Gli attori che interpretano i soccorritori hanno ascoltato quella voce in tempo reale, senza conoscerla prima, reagendo come esseri umani, non come personaggi. Uno di loro, Motaz Malhees, ha avuto due attacchi di panico durante le riprese: “È come morire mille volte”, ha confessato. Non è recitazione ma esposizione al trauma.

L’appello dell’attrice Sasha Kilani

Hind non è un caso isolato, è un nome tra migliaia. A Gaza la gente muore ogni giorno, le persone sono isolate, gli ospedali sono al collasso, i bambini muoiono non solo sotto le bombe, ma anche per malnutrizione e mancanza di cure.

Sasha Kilani, l’attrice che interpreta l’operatrice al telefono con Hind, lancia un appello: A nome degli attori e di tutta la squadra del film, chiediamo: non ne abbiamo abbastanza della de-umanizzazione, della distruzione, dell'occupazione di Gaza? Questo film non è un'opinione ma è ancorato a salde radici nella realtà. La storia porta il peso di un intero popolo, la voce di Hind è solo una delle diecimila voci che appartengono ai bambini uccisi in due anni a Gaza (secondo l’Unicef ad agosto erano diciottomila). Ed è la voce di ogni figlia, di ogni figlio che aveva il diritto di vivere, di sognare, di esistere con dignità.

Tutto questo è stato portato via di fronte ad occhi indifferenti. Dietro ad ogni numero, c'è una storia che non ha avuto l'opportunità di essere raccontata. Hind grida “salvatemi” e la domanda vera è: come è stato possibile lasciare che questa bambina ci chiedesse di essere salvata e lasciarla morire? Nessuno può vivere in pace, quando i bambini ci chiedono di essere salvati. Dobbiamo chiedere giustizia per l'umanità intera, per il futuro di ogni bambino. Adesso basta.

Il potere del fuori campo

La regista tunisina Kaouther Ben Hania sceglie di non mostrare la violenza. Nessun corpo, niente sangue. Solo i volti stretti degli operatori, la luce tagliente degli schermi, le mappe digitali che segnano ambulanze che non arriveranno mai. È un film claustrofobico, girato in Tunisia in un unico set che ricostruisce il centralino della Mezzaluna Rossa.

È proprio il fuori campo a diventare insopportabile: il vuoto di immagini è riempito dal nostro immaginario, dalla nostra coscienza. Non serve mostrare la morte: basta farla sentire. E in questo vuoto, lo spettatore diventa testimone, complice, impossibilitato a distrarsi.

Il film è stato prodotto con il sostegno di figure come Brad Pitt, Alfonso Cuarón, Joaquin Phoenix e Rooney Mara: un gesto collettivo che rende il cinema internazionale complice di una denuncia globale. È la Tunisia a portarlo agli Oscar 2026, sfidando Hollywood a guardare in faccia la realtà che spesso preferisce dimenticare.

Eppure, mentre le luci di Venezia si spegnevano, a Gaza City carri armati avanzavano, quartieri venivano rasi al suolo, 250.000 persone erano in fuga. Il Segretario Generale dell’ONU ha definito l’offensiva israeliana “moralmente, politicamente e legalmente intollerabile”. Ma il mondo continua a girarsi dall’altra parte.

Un simbolo per tutti i bambini di Gaza

Hind non è un nome isolato. È un simbolo. La sua voce rappresenta migliaia di bambini palestinesi che non hanno mai potuto crescere, amare, studiare, sognare. Ogni minuto che passa, altri bambini cadono sotto le bombe, nei corridoi degli ospedali senza corrente, per la sete e la fame. Questo film li fa risorgere in un’unica voce: eco, memoria, resistenza.

Guardare The Voice of Hind Rajab significa prendere posizione. Non ci si può nascondere dietro l’alibi dell’arte neutrale. Non si può fingere che sia “solo cinema”. Questo film ti prende per le spalle e ti urla: “Guarda. Ascolta. Ricorda.”

The Voice of Hind Rajab non può far rivivere quei bambini, ma può ricordarli a tutti noi: ci sbatte davanti il fatto che la vera indecenza è la normalizzazione della morte e che ogni silenzio, ogni indifferenza, è complicità. Ben Hania rompe quel silenzio con l’unica arma che ha: un film fatto di voci, di respiri, di vuoti.

Il suo film non consola, non lascia tregua. È grido e atto di resistenza. Non si limita a raccontare Hind, ci obbliga a ricordare tutti i bambini che oggi, mentre leggiamo, mentre viviamo, vengono cancellati dalla terra, da chi ha solo fame di potere e da chi si rende complice, in un modo o nell’altro, di questa strage.

Questo film ci costringe a scegliere da che parte stare: dalla parte del silenzio che legittima la morte o dalla parte delle voci che resistono anche quando tutto intorno crolla.