Il Purgatorio è qui e ora: come Beckett smonta l’idea di progresso

Written on 25 luglio 2025
Sara Di Santo


Il viaggio di Dante Alighieri attraverso i regni dell'oltretomba è un'odissea di ascesa e purificazione, un percorso scandito da tappe precise verso la luce. Ma cosa accade quando questa visione di ordine e progresso si scontra con la sensibilità di un'epoca che ha smarrito ogni punto fermo?

Samuel Beckett, profondamente influenzato dalla Commedia, non si limita a omaggiarne la grandezza; egli ne sovverte la struttura più intima, radicalizzando il concetto stesso di "intermedio" per offrirci uno specchio impietoso della condizione umana moderna.

Per Beckett, la distanza tra castigo e salvezza si smonta, fino a suggerire che cadere all’Inferno o salire in Paradiso sia, in fondo, lo stesso dentro l’universalità della lotta. Il suo immaginario riduce i regni d’oltremondo a una materia bassissima che li assorbe, mentre la “progressione circolare” della condizione umana continua senza premio né pena: solo stimoli perché il “gattino afferri la coda”.

Nel mondo contemporaneo, gli “apici” condivisi vacillano: fedi, ideologie, teleologie del progresso sembrano aver perso la loro forza propulsiva. Leggere Dante attraverso Beckett significa misurare lo scarto tra un universo ordinato che promette risalita e uno dove ci muoviamo in cerchi, ostinatamente, senza sapere se il moto conduca da qualche parte. È proprio in quello spazio intermedio – frustrante, ripetitivo, vivo – che si gioca ancora la nostra domanda di senso.

 

Dante e l'ascesa ordinata del Purgatorio

Nella Divina Commedia, Dante intraprende un viaggio di ascesa verso il Paradiso, un percorso che è anche ascensione spirituale per l'anima. Il suo Purgatorio è raffigurato come una montagna conica, una struttura logica e gerarchica divisa in antipurgatorio, sette gironi e il Paradiso Terrestre sulla cima.

Questo cammino è unidirezionale, con ogni passo in avanti che rappresenta un progresso netto verso una "conclusione certa" e la purificazione dal peccato veniale. L'ordinamento morale è chiaro, basato sull'amore e sulla liberazione dal peccato.

L'anima purgatoriale, a differenza di quella dannata, è contrita, odia il peccato e si avverte in essa un capovolgimento per cui essa esercita la virtù opposta al suo vizio. Il Purgatorio dantesco, pur transitorio, propende verso il Paradiso, posizionandosi in alto nello spazio.

Beckett e la discesa verso un Purgatorio anti-metafisico

L'opera di Beckett, al contrario, presenta un itinerario specularmente opposto a quello dantesco. Egli pone il Purgatorio al centro della sua visione, ma lo intende come un "movimento fine a sé stesso, ineluttabile", che definisce una rappresentazione universale anti-metafisica.

Per Beckett e i suoi personaggi, il viaggio non è un'ascesa, ma una progressiva discesa verso gli inferi. Questa discesa si manifesta stilisticamente nel passaggio dalla prosa al teatro, con un conseguente "ridimensionamento delle già ridotte esuberanze dello stile" e una "progressiva diminuzione di tutto", un "lento scivolare verso qualcosa che non si sa cosa sia, ma è qualcosa in meno di prima".

L’assoluta assenza dell’Assoluto

L'Inferno è la "staticità senza vita della perversità ininterrotta", il Paradiso la "staticità senza vita dell'immacolazione ininterrotta", mentre il Purgatorio è un "flusso di movimento e vitalità" scatenato dalla congiunzione di questi due elementi. Tuttavia, il Purgatorio di Beckett è sferico e non implica un apice, a differenza del conico Purgatorio dantesco. La sfera è considerata la forma perfetta da cui deriva quella "deviata" del cono.

Il movimento circolare: progressione e regressione

Mentre in Dante il movimento è unidirezionale e un passo in avanti è un netto avanzamento, nel Purgatorio beckettiano il movimento è "non direzionale – o multi direzionale, e un passo in avanti è, per definizione, un passo indietro".

Questa "inevitabile progressione circolare" è il "cerchio vizioso dell’umanità". Non c'è ascesa né "vegetazione ideale"; l'esperienza è un "flusso, progressivo o regressivo, e una conclusione apparente".

È un permanere nello stesso luogo nonostante un movimento ostinato. Le opere beckettiane mostrano un "vagabondaggio" anziché un viaggio, un "persistere indefinito dell’'ire in vano".

L'immagine icastica del "gattino che afferra la propria coda" simboleggia questa ciclicità regressiva, dove ogni nuovo ciclo è più "consunto" del precedente. Non c'è premio né punizione, solo "una serie di stimolanti che permettano al gattino di afferrare la propria coda".

Belacqua: l'indolenza come condizione esistenziale

La figura di Belacqua serve da trait d'union fondamentale tra Dante e Beckett. Nel Purgatorio dantesco, Belacqua è un personaggio comico e indolente, costretto ad attendere nell'Antipurgatorio per la sua pigrizia prima di poter accedere alla purificazione.

La sua posizione accucciata – "sedeva e abbracciava le ginocchia, tenendo il viso giù tra esse basso" – e la sua rassegnazione definiscono la sua pena.

Beckett era affascinato da questa figura, e Belacqua (anche con il cognome Shuah) diventa il protagonista di More Pricks Than Kicks e Dream of Fair to Middling Women. Il Belacqua beckettiano incarna la disperazione della sensibilità moderna e la "peculiare impotenza di fronte all’universo".

È bloccato in un "perpetuo stato antipurgatoriale di vegetazione reale", "immune dall’espiazione". La sua indolenza è un "traviamento dell’attitudine contemplativa", una ritirata nei "paesaggi mentali" che porta al disprezzo per la vita pratica e alla dedizione alle proprie manie.

In opere successive come Molloy, L'Innominabile e soprattutto Com'è, i personaggi beckettiani riprendono la postura di Belacqua. In Com'è, Belacqua viene incontrato "abbandonato nel fango", stanco di attendere un'ascensione in cui forse non aveva mai creduto.

La sua condizione è una "dannazione identica a quella di Pim e delle altre figure striscianti nell’opera, quella di una non-vita mai liberata dall’avvento di una morte possibile". Il fango, la "belletta negra", diventa un elemento ricorrente che lega i dannati di Beckett a quelli di Dante (gli accidiosi nello Stige), ma senza la speranza di purificazione. È una materia primordiale che unisce passato e futuro nella loro assenza.

Un Inferno senza catarsi né giudizio

Nel teatro beckettiano i personaggi sono condannati a parlare e agire in un presente interminabile, senza la possibilità di redenzione o catarsi. La vita stessa è un "cammino di dolore", e i personaggi sono "dannati".

Beckett arriva a negare la differenza tra castigo e salvezza, affermando che "cadere all’inferno o ascendere in paradiso è in fondo la stessa cosa dal momento che nulla muta nell’universalità della battaglia, la condizione che riunisce tutti".

Non c'è un giudice divino, e la sofferenza è una condizione intrinseca all'esistenza, non un mezzo per un fine superiore. Il suo Purgatorio è un luogo "senza contorni, intrattenibile in una forma perché appunto inesauribile", dove il movimento "non ha inizio né fine e non è provocato da alcun proposito volontario, essendo vita inferta piuttosto che creata e quindi anche del tutto a-moralizzata da un’assenza interminabile di senso".

L'eco di un viaggio eterno

Mentre Dante ci invita a salire una montagna verso la redenzione, Beckett ci costringe a guardare la vita come un'eterna, circolare stasi nell'Antipurgatorio, un movimento senza culmine o significato ultimo.

La sua opera, pur intrisa di echi danteschi, è una testimonianza radicale dell'assenza di un "Assoluto" e dell'inevitabile permanenza in uno stato di sofferenza e di senso vanificato. Come lo stesso Beckett affermò, la sua scrittura lo ha portato al silenzio, ma doveva continuare, guadagnando "qualche miserabile millimetro" davanti a uno strapiombo. In questo senso, l'opera beckettiana è un continuo "avvenire sul posto".

Se la Divina Commedia di Dante può essere paragonata a una spirale ascensionale che ci guida attraverso regni definiti con una chiara destinazione, l'opera di Beckett è più simile a una bicicletta ferma sul fango, con le ruote che girano incessantemente e rumorosamente, ma senza che il mezzo si sposti di un millimetro, imprigionando il ciclista in un movimento perpetuo e senza speranza di avanzamento o di arrivare a una meta.