Liliana Segre e il dovere della memoria. Quando l’indifferenza apre la porta al male

Written on 08 ottobre 2025
Monica Vaccaretti


“La chiave per comprendere le ragioni del male è l'indifferenza: quando credi che una cosa non ti tocchi, non ti riguardi, allora non c'è limite all'orrore.”

Così Liliana Segre, sopravvissuta all’Olocausto, nel libro La memoria ci rende liberi (2015), in cui racconta la sua vita interrotta di bambina nella Shoah. La sua testimonianza, cruda e commovente, su uno dei periodi più bui del secolo scorso, è raccolta dal giornalista Enrico Mentana, a cui confida che scegliere di raccontare la sua storia – dopo quarantacinque anni di silenzio e una drammatica depressione – è stato come accogliere nella sua vita la delusione di quella bambina espulsa dal suo mondo, discriminata come “alunna di razza ebraica”, che aveva cercato di dimenticare. “E con lei il mio essere ebrea”, aggiunge.

La scelta di raccontare

“Ho provato con il silenzio a dimenticare di esserlo, volevo essere un’altra ma è impossibile. Non si può smettere di essere ebrei”, continua Segre, spiegando che pur essendo oggi agnostica non può rinnegare le sue origini. Ha scelto allora di assumersi il peso e la responsabilità della memoria, sebbene non sia mai riuscita a tornare ad Auschwitz.

“Ne sono uscita sana di mente una volta, non voglio sfidare la sorte varcando ancora quel cancello. Ognuno ha i suoi limiti.”

Così è riuscita a raccontare la sua storia prendendo le distanze dalla persona che l’ha vissuta.

L’invisibilità del ritorno

“Un conto è guardare e un conto è vedere, ed io per troppi anni ho guardato senza voler vedere.”

Aveva otto anni Liliana Segre quando, nel 1938, le leggi razziali si abbatterono con violenza sulla sua famiglia a Milano, e tredici quando venne deportata ad Auschwitz-Birkenau insieme al padre. È tornata da sola dal lager, orfana, trovando un’Italia che non aveva nessuna voglia di ricordare né di ascoltarla. “Ho patito l’invisibilità”. Eppure portava sul braccio il numero indelebile che le avevano marchiato nel campo di sterminio.

Oltre il rito della memoria

Mentana sottolinea come il Giorno della Memoria, inteso come data rituale, non basti a ricordare, e come la coscienza civile non possa dirsi salva invitando solo “il sopravvissuto di turno” a parlare alle scolaresche. “È tempo di rompere questo rituale e fermare questa recita ipocrita”, denuncia. L’orrore vero, afferma, “è lì, al primo metro del cammino per i campi di concentramento”.

Il fiume dell’odio e il dovere dell’educazione

“Quella razzista è un fiume senza argini, prodotto di una pazzia collettiva sapientemente alimentata dai seminatori di odio.”

Segre sostiene l’urgenza di far conoscere ai giovani ciò che è realmente accaduto: “È l’unico modo per porre un argine alla violenza presente e futura.” La storia non si può cancellare, ma si può studiare, soprattutto quella del Novecento, che – secondo Segre – dovrebbe essere insegnata in maniera esaustiva in tutte le scuole. “L’insegnamento della storia ci insegna a non ricadere negli errori del passato. Perdere la storia è uno dei primi effetti collaterali della perdita del futuro.”

La responsabilità della memoria

Segre avverte che senza memoria storica l’umanità è condannata a disumanizzarsi. “Mi preoccupano i numerosi episodi di violenza che mi fanno temere un inesorabile imbarbarimento della nostra società. I casi di razzismo, sempre più diffusi, sono trattati con indulgenza, quasi fossero entrati nella normalità del nostro vivere civile.” Denuncia anche il dileggio sistematico dell’avversario e l’uso improprio di simboli religiosi: “Mi ricordano un revival del Gott mit uns (Dio è con noi).”

Contro l’indifferenza e l’imbarbarimento

Segre sente forte il dovere non solo di ricordare ma di dare voce a coloro che ottant’anni fa non la ebbero: circa quarantamila ebrei italiani vittime di un crimine anche italiano. “Si dovrebbe dare idealmente la parola a quei tanti che, a differenza di me, non sono tornati, che sono stati uccisi per la sola colpa di essere nati, che non hanno tomba, che sono cenere nel vento.” Nel suo primo discorso da senatrice a vita (2018) affermò: “Salvarli dall’oblio non significa soltanto onorare un debito storico ma aiutare gli italiani di oggi a respingere la tentazione dell’indifferenza.”

L’impegno europeo e la minaccia dell’odio

Invita i giovani a non cercare scorciatoie contro ogni discriminazione, ricordando – con Giambattista Vico – che i rischi di una deriva autoritaria sono sempre dietro l’angolo. Ricorda il suo disegno di legge per contrastare intolleranza, antisemitismo e linguaggio d’odio, anche nella Rete. Avverte che l’Europa è minacciata da autoritarismi e divisioni, ma che è ancora possibile invertire la rotta difendendo i valori democratici che ci hanno portato dalla “difesa della razza” alla “difesa dei diritti umani”. “L’odio si diffonde e genera altro odio”, ammonisce. “Sono stata vittima dell’odio e sono ancora un simbolo che disturba.”

Un monito ancora vivo

Dal racconto intimo di questa donna – ridotta a un numero, costretta a vivere nel male altrui e a cui ci vollero anni per ritrovare la gioia della vita – arriva un monito accorato: non chiudere gli occhi davanti agli orrori di ieri e di oggi. Leggere la sua testimonianza ci offre un’occasione di riflessione sui genocidi del Novecento e sul pogrom del 7 ottobre 2023, che ha scatenato la guerra nella Striscia di Gaza. È necessario, dice Segre, tornare a esercitare un grande senso del dovere civile, perché – citando John Donne – “Non chiederti mai per chi suona la campana: essa suona per te.”

La memoria ci rende liberi

Il libro, pubblicato dieci anni fa, è oggi più attuale che mai. La memoria, quella di Liliana e la nostra, ci rende liberi: di essere noi stessi, di non perdere la propria identità, di restare moralmente e intellettualmente integri. Liberi dalla disinformazione e dalla propaganda. Solo così è possibile non essere travolti dalla perdita di speranza verso la quale ci spingono i più turpi eventi della storia che costruiamo ogni giorno.