Laszlo Krasznahorkai e la forza gentile dell’apocalisse

Written on 17 ottobre 2025
Monica Vaccaretti


“Questo premio dimostra che la letteratura esiste di per sé, al di là di tutte le aspettative non letterarie, e che viene ancora letta. E che a quelli che la leggono infonde una certa speranza nel fatto che la bellezza, la nobiltà e il sublime esistono ancora in sé e per sé.” Così Laszlo Krasznahorkai, scrittore ungherese, commentando il Nobel per la Letteratura 2025, conferitogli lo scorso 9 ottobre dall’Accademia di Svezia.

Il Nobel per la Letteratura 2025

L’autore di “Melancolia della resistenza” e “Guerra e guerra” è stato premiato “per la sua opera avvincente e visionaria che, nel mezzo del terrore apocalittico, riafferma il potere dell'arte”. Ha scritto di mondi di brutalità e bellezza dove non c'è salvezza, poca speranza e tanta malinconia. Le sue opere sono spesso ambientate in contesti oscuri, in rovina e apocalittici, dove l’atmosfera è pervasa da una tensione catastrofica.

L’aspetto interessante e inquietante dell’apocalisse descritta da Krasznahorkai è che non è mai un evento accaduto o che sta per accadere. “Noi nell'apocalisse viviamo. L'apocalisse è già in questo momento. È sempre. È il contesto naturale del mondo umano”, spiega lo scrittore, che sembra quasi descrivere i tempi incerti che stiamo vivendo.

Pur esprimendo una visione pessimistica, egli crede che alla fine a vincere sia “la forza irresistibile della debolezza della gentilezza”, e riesce a trasmetterci questa convinzione con una lirica potente.

Uno stile ipnotico e travolgente

La scrittura di Krasznahorkai è ipnotica, avvolgente, travolgente. È famoso per uno stile narrativo caratterizzato da frasi molto lunghe e disgressive, senza pause, come se vi fosse una sorta di “paralisi dinamica”. Il suo discorso letterario è un’unica frase ininterrotta, con pochissima punteggiatura, quasi senza punti fermi.

La sua prosa è densa, la lettura impegnativa. “La frase breve è una gran bella invenzione ma è artificiale. L'abbiamo creata noi”, precisa lo scrittore, spiegando che quando si pensa e si vuole dire qualcosa di molto importante non si usano “belle frasette corte e ben curate” ma piuttosto “le parole erompono da noi come la lava di un vulcano in eruzione”. I critici hanno infatti paragonato la sua narrativa a una “lava tipografica”.

Temi e significato delle sue opere

I suoi romanzi – influenzati da Kafka, Bernhard, Beckett, Lowry e Dostoevskij – sono considerati tra le opere più significative della letteratura europea contemporanea. Pur affrontando temi complessi come la decadenza, l’alienazione dell’individuo, la disintegrazione sociale e il caos, riscuotono un sorprendente successo nel panorama letterario.

Secondo i critici, per apprezzare la scrittura di Krasznahorkai occorre abbandonarsi, senza chiedersi dove porterà, perché alla fine “essa porta sempre nel luogo più oscuro e sorprendente: il cuore dell’uomo, che è il cuore del mondo, l’uomo che resiste e cerca un senso anche quando il mondo si fa ostile, grottesco, incomprensibile, feroce”.

L’attesa e la speranza

Uno dei temi centrali e ricorrenti nei suoi romanzi e raccolte di racconti è l’attesa. “Mi perderò la cosa aspettandola”, scrive nel suo libro d’esordio “Satantango”, in cui riflette sulla natura del male. Secondo Krasznahorkai, l’attesa è una condizione pietosa ma profondamente umana, e non arriverà mai un’epoca in cui sapremo aspettare in modo diverso.

Egli ritiene inoltre che la speranza sia vana, ma proprio questa illusione e inutilità le conferiscono un’insuperabile forza di attrazione. “Abbiamo bisogno che ci mentano dicendo che abbiamo bisogno di sperare. Di questo abbiamo bisogno. Tanto sappiamo benissimo di non aver alcun motivo di speranza”, spiega lo scrittore.

Amore, libertà e solitudine

A Krasznahorkai è caro anche il tema della libertà, che trova la sua forma più alta nell’amore puro. È grazie ai gesti d’amore – considerati gli atti più alti dell’essere umano – che l’uomo si libera dalle catene dell’egoismo, della paura e del potere. Eppure, secondo l’autore, questo amore che libera è anche quello che isola.

Egli ritiene infatti che chi ama in modo assoluto sia destinato alla solitudine, perché la purezza del sentimento non trova corrispettivo nel mondo corrotto e distratto che lo circonda. “Quanto era strano che tale amore sembrasse essere caratteristico delle persone sole, condannate a vivere in perpetuo isolamento”, scrive, sottolineando come l’amore sia il volto più profondo della solitudine.

L’amore, quindi, che dovrebbe colmare la distanza tra due esseri umani, diventa invece il luogo stesso della distanza. Amare veramente significa riconoscere l’alterità e accettare che non potrà mai esserci fusione. La solitudine dell’amore non è un fallimento sentimentale, ma la prova che anche nell’unione più profonda resta un vuoto che non si può colmare.

L’amore, per Krasznahorkai, resta inoltre individuale, mai collettivo. Non è un’energia comune capace di trasformare la solitudine in forza. “Tutti quei milioni e milioni di amori individuali e ribellioni individuali non avrebbero mai potuto sommarsi a un singolo amore o ribellione”, scrive l’autore, per il quale l’esperienza umana rimane frammentata: ciascuno, pur nella moltitudine, ama e si ribella da solo.

Eppure, la sua visione non è del tutto tragica. Krasznahorkai conclude sostenendo che è possibile trovare un modo perché queste libertà e amori separati possano riconoscersi e toccarsi, almeno per un istante. Ciò accade quando l’amore passa dalla mente al gesto, dalla parola al volto dell’altro, dalla solitudine alla relazione, diventando un atto umano universale che – pur non salvando il mondo – lo illumina per un momento.