La forza della narrazione nella cura

Scritto il 25/07/2025
da Alba Tavolaro


Uno degli assiomi della Comunicazione recita: “non si può non comunicare”: ogni manifestazione umana, verbale o non verbale, gesto, postura, ha come finalità l’iterazione con l’ambiente circostante. Anche il silenzio, la respirazione, sono percepiti come forme di comunicazione1.

Tuttavia l’individuo organizza le proprie esperienze, i propri vissuti secondo schemi narrativi; le narrazioni costituiscono una sorta di “architettura del pensiero” dando significato alle nostre esperienze. Per cui possiamo azzardare nel dire che non si può non narrare.

Walter R. Fisher, psicologo e studioso della teoria della comunicazione, nel suo “Human Communication as Narration: Toward a Philosophy of Reason, Value, and Action”, afferma: Propongo: una riconcettualizzazione dell’umanità come Homo narrans; che tutte le forme di comunicazione umana debbano essere viste fondamentalmente come storie—interpretazioni simboliche di aspetti del mondo nel tempo, modellate dalla storia, dalla cultura e dal carattere (Fisher 1987, Prefazione, pp. xii–xiii).

La narrazione nella vita quotidiana

Siamo in grado di comprendere gli altri e noi stessi perché costruiamo narrazioni che attribuiscono significato e senso agli eventi della nostra quotidianità. Quando rientriamo a casa dopo una lunga giornata di lavoro e vogliamo condividere con i nostri cari il nostro vissuto, nella nostra mente organizziamo un racconto personale.

Non si tratta di un resoconto asettico degli avvenimenti, ma di un racconto in cui descriviamo le emozioni che ci hanno pervaso - rabbia, soddisfazione, gioia, tristezza - con lo scopo di far comprendere all’altro non cosa abbiamo fatto ma come ci siamo sentiti e abbiamo bisogno di comprenderne e far comprendere il significato e il senso del nostro sentire.

Narrare la malattia: il racconto che cura

Allo stesso modo, quando entriamo nell’ambulatorio medico, organizziamo una narrazione, intessiamo una trama in cui ogni sintomo diventa una tappa del nostro vissuto esperienziale.

In questa storia, la voce del paziente (come insegna Arthur Kleinman, psichiatra e antropologo statunitense)2 non è semplice cronaca di malattia, bensì trama di significati che interessano il corpo ma anche la mente, le relazioni affettive e sociali, il proprio vissuto.

Ci aspettiamo che chi ci accoglie sappia ascoltare e comprendere quel racconto, sappia cogliere le sfumature emotive e riconoscere, al di là del protocollo clinico, l’unicità della nostra sofferenza.

Quando invece ci troviamo di fronte a una serie di domande chiuse, finalizzate alla mera raccolta dati, quando il medico ci interrompe frettolosamente, viene meno quello che chiamiamo alleanza terapeutica, ci sentiamo – e forse lo siamo – in una posizione diseguale, impari, diventiamo oggetto e non più soggetto. Il paradosso è che da quel momento la persona perde il proprio nome e prende il nome della malattia di cui è affetto.

La perdita dell’identità in ambito ospedaliero

Pensiamo a quando la persona entra in ospedale per un ricovero: la prima cosa che le viene chiesto è spogliarsi, perdere i propri abiti, non indossare più le proprie scarpe, sottoporsi a procedure che invadono il corpo e la propria intimità.

In questo luogo si innesca un’inarrestabile perdita di identità: il paziente non è più soggetto della propria storia, persona unica, ma un corpo anonimo, come tanti, da analizzare, studiare, monitorare, riparare.

Medicina narrativa: restituire voce e dignità alla persona

Viene a crearsi un divario, una distanza tra curante e curato da cui scaturisce l’urgenza di un approccio che ricollochi la persona al centro della cura. Rita Charon, presidente del programma di Medicina Narrativa alla Columbia University, definisce questa disciplina come fondata sulla capacità del medico e dell’équipe assistenziale di riconoscere, assorbire, interpretare ed essere mossi dalle storie che i pazienti raccontano.

Recuperare e “onorare” la storia personale della persona assistita, entrare nel mondo del paziente: camminare dentro la sua narrazione3 significa restituire identità e dignità alla persona in una condizione di particolare fragilità.

La medicina narrativa diventa sempre di più un vero e proprio strumento di cura che integra la Medicina Basata sulle Evidenze e introduce alla Medicina Basata sulla Narrazione.

Riferimenti

  1. Watzlawick P., Beavin J.H., Jackson D.D. Pragmatica della comunicazione umana. Astrolabio-Ubaldini, Roma, 1971
  2. Carr D. Narrative and the Real World: An Argument for Continuity. History and Theory 25(2): 117–131, 1986
  3. Kleinman, A. The Illness Narratives: Suffering, Healing, and the Human Condition. Basic Books, 1988