Diventa padrone di te stesso: il tempo, la morte, la presenza

Scritto il 25/07/2025
da Marco Vaccaretti


Un viaggio con Seneca tra consapevolezza e cura di sé, per riconquistare il tempo che ci sfugge

Scrive così Lucio Anneo Seneca – filosofo stoico romano del primo secolo d.C. – nelle sue lettere private rivolte al caro amico Lucilio: “Renditi padrone di te stesso e il tempo che finora ti era portato via con la forza o sottratto con la frode o che ti sfuggiva di mano raccoglilo e conservalo. Certi momenti ci sono tolti con brutalità, altri presi subdolamente, altri ancora si disperdono. Ma lo spreco più vergognoso è quello provocato dall’incuria. La maggior parte della vita se ne va mentre operiamo malamente, una porzione notevole mentre non facciamo nulla, tutta quanta la vita mentre siamo occupati in cose che non ci riguardano”.

Il valore del tempo e l’ammonimento di Seneca

“Mi indicherai un uomo che attribuisce un valore effettivo al tempo, che sappia soppesare ogni ora, che si renda conto di morire ogni giorno?”. A distanza di secoli queste parole – e in particolare questa ultima domanda – sembrano rivolte proprio a noi, a me e a te, Lucilii del ventunesimo secolo. Un ammonimento antico e amico che attraverso il tempo giunge a noi, schiavi di ciò che ci siamo (o ci hanno) convinti di essere e voler essere, dispersi nell’enigma inascoltato che invece ci compone, ingannati da un Dentro che oramai sa parlare solo una lingua febbrile e intrattenuti da un Fuori che ci allontana ancor di più da un atto di comprensione di sé, incuranti di ciò che più ci riguarda da vicino: il nostro spirito, l’interiorità che ci fa da fondamenta, le radici profonde che scavano nella comune, oscura, terra dell’animo umano.

Essere padroni di sé stessi

“Renditi padrone di te stesso”, ovvero prendi consapevolezza, accendi la tua presenza, diventa cosciente e accorgiti di quale posto ti è stato riservato in questa vita, di quale parte ti è stata data sulla scena e sii padrone del tuo copione, del canovaccio che è stato scelto per te. Padroneggiare sé stessi non significa decidere arbitrariamente ciò che si è, tiranneggiando il proprio spirito per far sì che esso prenda sembianze aliene. Significa – socraticamente – conoscere sé stessi e agire in conformità a quanto si è scoperto. Non il sé è in nostro potere ma l’atto di scoperta, di conoscenza, di scandaglio di questo mare magnum. Non il sé “in sé” ma l’accettazione di quanto è stato visto e la conseguente conformità ad esso: nelle parole, nelle azioni, nella vita.

Il tempo vissuto e il tempo perso

Essere padroni di sé stessi – in questo senso specifico – è prerequisito per iniziare e continuare a “raccogliere e conservare il tempo” che ci rimane, per spendere bene le nostre energie e risorse. Quel tempo, quella vita che, mentre non davamo la giusta attenzione a ciò che dimorava in noi stessi, ci è stata portata via con forza brutale dagli altri esseri umani o dagli eventi della vita o ci è stato sottratta con subdolo inganno (o più spesso auto-inganno) o che ci scivolava semplicemente tra le nostre mani incuranti è tempo, vita, che appartiene solo alla morte, poiché vissuta inconsapevolmente, distrattamente.

Senza lo sforzo di stare nei propri panni non c’è tempo che sia anche vita. Tutto cade nell’insignificanza, passato che è salda proprietà della morte e non è accessibile come concime, nutrimento, per il presente e il futuro.

Passato e presente: la luce delle stelle morte

“Ravvisiamo la morte innanzi a noi, ma una gran parte appartiene già al passato. Tutto ciò che della nostra esistenza è dietro di noi, la morte lo tiene saldamente” scrive Seneca poco più avanti. Pur essendo il passato tempo della morte – di ciò che è stato e che non sarà mai più, impronta del cambiamento – esso può rimanere comunque accessibile, attraverso qualche spiraglio interiore, come “la luce delle stelle morte” di cui Massimo Recalcati parla nell’omonimo libro. Un Presente vissuto in modo presente diventa un Passato-risorsa, un qualcosa che non è più ma che risuona, che fa sentire la sua assenza-presente, che diventa strumento per vivere in modo qualitativamente migliore il sempre nuovo, diverso, Presente e il Futuro che ci aspetta.

La cura dell’anima come atto quotidiano

E come si può fare ciò? Bisogna avere cura. Questo è il nostro compito. Avere cura dell’animo per avere cura della vita – quella in noi e degli altri – e di ciò che ormai è morto. Avere cura per operare un po’ meno malamente durante i nostri giorni, per provare a fare ciò che è giusto e necessario, per occuparci di quello che ci riguarda davvero nel tempo – “bene lubrico e fugace” come lo descrive Seneca – che ci viene concesso.

Adottare uno sguardo presente

Bisogna “tenere alla perfezione il registro delle spese” diceva Seneca e ancora “non ho il diritto di affermare che non sperpero nemmeno un poco di tempo, ma dirò quanto ne perdo e perché e come; così renderò ragione della mia povertà”. Questo vuol dire adottare uno sguardo presente. Osservarsi, farsi il cosiddetto “esamino di coscienza” quotidiano. Iniziare a porsi domande simili a quelle che poneva Seneca a Lucilio nelle righe precedenti – “Che valore attribuisco al tempo? Attribuisco valore al mio tempo? So soppesare ogni ora? Mi rendo conto di morire ogni giorno?” – è un modo per adottare uno sguardo presente.

Memento mori: vivere pienamente il proprio tempo

Memento mori. Ricordati che dovrai morire, che tutti coloro che conosci e che ami dovranno morire. Ricordati che la morte, il cambiamento, è sempre presente, che il tempo scorre inesorabile. Rammenta che i giorni che ti sono stati concessi per scoprirti e fare ciò per cui sei qui sono una manciata.

Da questo genere di domande, di attriti, nasce la presenza. Quindi sii tutto te stesso, scopri cosa voglia dire “tutto te stesso” e fai ciò che è propriamente tuo con le ore, i secondi che ti rimangono. Essi non torneranno e lo stesso tu, amico mio.