Il piccolo quindici: quando il tennis ti insegna a vivere

Scritto il 07/08/2025
da Luca Pellicci


Amo vedere lo sport. Tutti gli sport, in generale; quando ogni quattro anni si svolgono le Olimpiadi mi sento come un turista che a Firenze rimane vittima della Sindrome di Stendhal.

Tra tutti, però, il tennis è il mio preferito. Sport singolo, dove chi gioca è solo con sé stesso, non può nascondersi e condividere le sconfitte con i compagni di squadra. Sei tu contro te stesso, più che contro l’avversario.

Una citazione per iniziare

Il titolo di questa riflessione prende spunto da un’affermazione scritta nella sua celebre e drammatica biografia (“Open”) da Andre Agassi – numero 1 ATP per 101 settimane, dal 1993 al 1995, ai tempi in cui il suo avversario principale era Pete Sampras:

“Il Tennis rispecchia la struttura delle nostre giornate. I punti diventano game che diventano set che diventano tornei, ed è tutto collegato così strettamente che ogni punto può segnare una svolta. Mi ricorda il modo in cui i secondi diventano minuti che diventano ore, e ogni ora può essere la più bella della nostra vita. O la più buia. Dipende da noi.”

Tennis e vita: una metafora quotidiana

Trovo infatti che il tennis sia davvero una metafora della vita. Ogni giorno ci giochiamo dei punti, che poi diventano game e poi set, per poi diventare match, per prepararsi poi a nuovi incontri.

Ma contro chi li stiamo giocando questi punti? Essenzialmente contro noi stessi, contro le nostre debolezze e le nostre paure. Per giocare i punti migliori è necessario spesso avere una buona dose di coraggio, e bisogna saper accettare le sconfitte che inevitabilmente arriveranno e saper imparare dalle stesse, proprio come le esperienze di vita che viviamo quotidianamente.

Quel piccolo quindici che ci sfugge

Il bello di questo gioco è che fino all’ultimo punto, fino all’ultimo “piccolo quindici” (come diceva la compianta Lea Pericoli) non hai vinto.

In teoria puoi stare vincendo 6-0 6-0 5-0 e 40-0, ma se non realizzi quell’ultimo quindici e il tuo avversario non ti concede più nulla, puoi perdere 6-0 6-0 5-7 0-6 0-6. Tutto dipende da noi, dalla capacità di portare a termine il match, senza mai dare niente per scontato.

Il tennis ha il fascino e il ritmo della vita: partite vinte senza merito, battaglie epiche, sconfitte immeritate. Quante volte ci è capitato di essere a un passo dal realizzare un sogno, ma per paura o imprevisti abbiamo lasciato scivolare via tutto?

Come è successo a Sinner nella finale del Roland Garros contro Alcaraz, con tre match point nel quarto set non concretizzati. E quante notti insonni a pensare a ciò che poteva essere e non è stato per un solo, piccolo quindici.

Match di vita: affrontare la malattia

Con difficoltà, spesso riusciamo a vincere e ne siamo orgogliosi. Ma anche in quel caso siamo pronti per nuovi incontri. Perché la vita – come il tennis – ci mette sempre alla prova.

Quanto scritto vale anche per la gestione di certe malattie. Personalmente devo sottopormi a una terapia salvavita a giorni alterni, tre volte a settimana.

Ogni settimana è come giocare una partita al meglio dei tre set. Ogni seduta di dialisi è un set, che si può vincere o perdere. Ci sono giorni in cui torno a casa vincente, altri in cui sono sconfitto dalla durezza della terapia. Ma ci sarà sempre un secondo e un terzo set per rimediare. E poi una nuova settimana. Un nuovo turno. Altri match da giocare.

A volte ti sembra di aver vinto, ma all’ultimo minuto succede un imprevisto. Altre volte inizi male, ma recuperi e alla fine hai la meglio. Proprio come sul campo.

Perché amo lo sport

Amo lo sport non come tifoso in senso stretto, ma per la sua bellezza. Certi gesti – come il rovescio di Federer o il dritto di Nadal – sono arte, e come tale devono essere ammirati.

La bellezza dello sport non è nel tifo cieco contro l’avversario, ma nella ricerca di sé stessi, nella sfida ai propri limiti, nel dare il massimo punto dopo punto, con intensità e rispetto. Perché anche dall’avversario abbiamo sempre qualcosa da imparare.