Questa poesia è un atto di memoria e accusa. La voce poetica si rivolge ai figli e ai nipoti di domani, chiedendosi cosa resterà delle nostre azioni (o della nostra indifferenza) nei confronti dei drammi contemporanei: Gaza, Ucraina, Sudan, Afghanistan e tutti i luoghi in cui la guerra e l’ingiustizia hanno devastato la dignità umana.
Voi figli,
e Voi nipoti,
domani
ci chiederete dei primi anni
di questo secolo.
Voi figli,
e Voi nipoti,
e Voi figli dei figli,
nipoti dei nipoti,
ci chiederete
dove eravamo,
che cosa abbiamo detto,
che cosa abbiamo scritto,
che cosa abbiamo fatto.
Cosa abbiamo fatto
Dei primi anni di questo secolo.
Cosa abbiamo fatto per Gaza,
per l’Ucraina,
per il Sudan
e per l’Afghanistan,
e per tutti i luoghi di
questo inferno che chiamano terra
dove i demoni continuano a chiamarsi come
i Cavalieri dell’apocalisse:
Peste, morte, guerra, carestia.
Che cosa abbiamo fatto
Per impedire l’assassinio,
da parte dei giuristi
della violenza,
Per impedire la distruzione,
da parte dei costruttori
del profitto,
Per impedire la menzogna,
da parte dei consumatori
dell’hashish mediatico
Per impedire
le ruberie,
gli oltraggi
il sacrificio di innocenti
e la santificazione
dei potenti.
Voi ci chiederete
e ci accuserete,
ma noi non ci saremo più
per provare vergogna
per blaterare scuse,
per cercare capri espiatori,
e gridare alla vendetta
di dei millenari,
illudendoci di mondare
le nostre lorde coscienze,
mentre mentiamo alle vostre
nette coscienze,
finché lo saranno.
Voi ci chiederete di Gaza,
come noi abbiamo chiesto
del colonialismo europeo,
dei nativi americani
degli ebrei inceneriti
e degli armeni massacrati
e tutti gli altri,
di tutti gli altri,
dei tanti altri,
anche di
quelli mai conosciuti.
Noi abbiamo chiesto,
nella presunzione
di almeno tre generazioni,
ma non abbiamo
impedito
Gaza.
28 agosto 2025